Convegno 2013: Relazione di Bice Collumberg

Essere nonna  

Ristorante Casa del Popolo, Bellinzona – 17 ottobre 2013

 

Buongiorno care amiche e benvenute a questo ritrovo di nonne e non nonne, ma queste non nonne a volte hanno un ruolo che sostituisce una nonna che è lontana o non c’è più.

Essere nonne è bello! È stato un sogno che abbiamo accarezzato, e quando questo sogno si è avverato, è stato per noi un momento di gioia e di continuità della vita.

Anche noi ci portiamo dentro la nostra infanzia e nella nostra infanzia c’erano i nonni. Io purtroppo ho avuto solo una nonna, ma questa nonna me la porto dentro. Sento ancora i suoi odori, le sue storie, le sue canzoni, le sue mani rugose che mi accarezzavano. Queste sensazioni che ancora oggi percepisco, mi fanno stare bene.

Oggi il ruolo di nonna è diverso. C’è chi non vuole essere nonna per non sentirsi vecchia e diversa. C’è chi fa la nonna a tempo pieno perché i genitori del nipotino lavorano. C’è chi fa la nonna ma vuole avere un ruolo di genitore. Sbagliato! Ci sono figli che per avere un bimbo chiedono alla futura nonna un ruolo ben preciso nell’accudire il piccolo, altrimenti rinunciano a diventare genitori. E poi, in questi momenti di crisi economica che la nostra società sta passando, anche noi nonni siamo importanti per magari dare dei piccoli contributi finanziari.

Questi sono solo alcuni aspetti delle nonne di oggi.

Con i miei nipotini (sono 3) che sono curiosi di tutto, cerco di avere un ruolo di complicità, o quando mi chiedono cose che non conosco, vado con loro alla ricerca, e assieme a loro imparo anch’io. In questi anni sono diventata esperta di calcio, ci gioco anche, e certe volte vado con loro e i loro amici a giocare al campo, e sono diventata una nonna che è capace di parare i rigori e così sono diventata la loro beniamina. Con loro vado al cinema, a teatro, a concerti, leggiamo libri di avventure e poi li valutiamo, balliamo, e ho perfino imparato quel famoso ballo coreano e siamo andati a ballarlo in Piazza Grande.

Una volta all’anno li porto separatamente a fare un breve viaggio che prepariamo. Scegliamo la meta assieme secondo gli interessi che ognuno di loro ha.

Cuciniamo assieme, seminiamo l’orto, i fiori, e poi quando le piantine crescono, facciamo il giro del giardino a sentire gli odori delle erbe aromatiche e il profumo dei fiori.

A loro piace sentire le nostre storie di famiglia, le nostre avventure di quando eravamo piccoli, e quando una di queste storie li tocca e li intriga, per noi non c’è più pace perché la dobbiamo raccontare tante volte, e guai a sbagliare un particolare, ci riprendono subito.

Essere nonni è bello. Certe volte la sera siamo stanche e distrutte, ma il giorno dopo siamo pronte a ricominciare con gioia.

Io sono una nonna fortunata, e penso a quanti nonni non lo sono. Per dei motivi che possono essere gravi, ma che spesso sono banali, certi genitori non consentono ai nipotini di vedere i nonni. Sarebbe bello se nell’ambito di AvaEva si formasse un gruppo di nonne e nonni desiderosi di star loro vicini.

Io penso che sarebbe bello disporre di una Carta dei diritti e doveri dei nonni. Mi piacerebbe se AvaEva se ne facesse promotrice, raccogliendo le adesioni delle nonne e dei nonni che volessero partecipare alla sua formulazione. Pensiamo che insieme si possa ragionare e crescere e siamo convinti che nessun nonno debba essere privato della gioia e dell’affetto che ogni nipotino procura, e a nessun bambino dovrebbe mancare la tenerezza delle carezze commosse dei nonni. Per i piccoli, stare con i nonni è importante, sia per la loro crescita, sia per il loro equilibrio; e per i nonni, un nipotino è una botta di vita.

Convegno 2016: Presentazione del lavoro al Mandala

di Daniela Panzeri e Mirella Guglielmoni / Ristorante Casa del Popolo, Bellinzona – 20 ottobre 2016

 

Scrivere su un mandala per poterlo offrire ad altre donne, alla casa delle donne, è il pensiero che ci ha accompagnate durante gli incontri. A loro ci siamo rivolte empaticamente mentre abbiamo scelto parole e frasi, attingendo a riflessioni personali e agli scritti raccolti tramite il lavoro nel gruppo allargato. È stato un percorso lento, attento e preciso.

Un’AvaEva ha scritto:

“Comporre una frase e scriverla su un mandala è stato un lavoro d’insieme che ha dato nuovo valore a tutte le parole. Scriverle mentre le amiche in silenzio mi aiutavano a girare la tela, ha attivato in me e nel gruppo una qualità di attenzione che nasce da dentro, creando densità, nuova vita ad ogni singola parola.”

Un’altra AvaEva ha scritto:

“Creare un mandala è un’esperienza particolare che tocca gli aspetti più intimi di noi. Il mandala è l’espressione di sentimenti profondi che fanno vibrare le corde più nascoste del nostro essere, manifestando l’aspetto creativo, il senso poetico e artistico, generando un’armonia nel tutto. È stato un momento di condivisione speciale che ci ha fatto sentire unite a tutte le donne che lottano per il rispetto e la dignità umana. Grazie a tutte le donne che hanno collaborato e a tutte le donne che leggeranno e riceveranno forza e coraggio per continuare nel loro cammino”

Questo tessuto sul quale sono stampati cerchi concentrici proviene dal Giappone, da un centro per la Pace che si trova ai piedi del vulcano Fuij.

Lavori individuali e collettivi con i mandala di scrittura sono proposti in tutto il mondo, all’interno di progetti di educazione alla pace e alla creatività.

Ora lascio spazio per la consegna.

Grazie a tutte.

 

 

Convegno 2016: Manifesto delle donne della generazione delle nonne

Cosa offriamo!

Siamo noi a definire ciò che offriamo:
Impegno temporale e finanziario per sostenere e assistere figlie e figli, nipoti e membri della famiglia.
Impegno sociopolitico per creare solidarietà tra le generazioni.
Aiuto reciproco delle donne anziane: solidarietà tra donne benestanti e donne povere, tra donne in buona salute e donne bisognose di assistenza. Uniamo le forze per assicurare a tutte un’anzianità degna e gioiosa.

 

Cosa rivendichiamo!

Riconoscimento sociale ed eventualmente anche finanziario delle nostre prestazioni in quanto nonne: spese per l’accudimento di nipoti, accrediti assistenziali, diritto di visita in caso di famiglie separate e patchwork.
Offerte di accudimento per donne anziane, pubbliche o sussidiate dagli enti pubblici, a prezzi accessibili.
Discussioni pubbliche sul tema della povertà delle donne anziane.
Partecipazione all’istituzione di accrediti per donne anziane.

 

Cosa abbiamo ottenuto e di cosa andiamo fiere!

Grazie al nostro impegno nel movimento femminista degli anni '70 –'80, la condizione femminile è migliorata, ma non a sufficienza. Infatti, la generazione delle nostre figlie si vede ancora discriminata, anche se non più durante l'età infantile come noi, ma 10-15 anni più tardi.
Abbiamo cambiato in teoria e pratica la divisione dei ruoli tra donne e uomini nella famiglia, nell'ambito domestico e nella coppia. Ma rimane ancora molto da fare!
Siamo della generazione di donne che sostiene i giovani nell'ambito privato e sociale. Siamo solidali con le generazioni giovani senza aspettarci il loro rispetto o riconoscimento.
Abbiamo la capacità di dare noi stesse una definizione delle donne anziane. La maggior parte della letteratura sulla vecchiaia femminile è stata scritta da donne della nostra età.

 

 

 

 

 

Convegno 2015: Relazione di Bruna Martinelli

Le nonne di un tempo

di Bruna Martinelli, nonna, contadina, scrittrice |  Scuola Club Migros, Lugano – 1° ottobre 2015

 

Inizio a parlare di tante nonne a causa delle persecuzioni senza limite di questi e altri tempi terribili (Califfato e Plaza de Mayo). Per fortuna dalle nostre parti non ci sono questi orrori e noi nonne possiamo goderci la gioia di veder crescere bene i nostri nipoti. Anche se siamo sempre con le antenne rizzate perché sappiamo come per i giovani, soprattutto adolescenti, non sia facile affrontare la vita.

A me, quando ho tenuto tra le braccia la mia prima nipotina avevo quarantadue anni, è parso di diventare mamma un’altra volta. E così fu per tutti gli altri nipoti. Un tempo, almeno nei nostri villaggi, la famiglia era spesso formata da nonni, genitori, figli e zii che abitavano, se non sotto lo stesso tetto, non molto distante. Ora è diverso. I nostri figli spesso hanno formato una famiglia lontano da noi genitori e noi vediamo i nipoti molto meno di quanto vorremmo. Ricordo che assieme alla zia Luigina e Teresa, allo zio Ottavio e allo zio Luca c’era, nella nostra famiglia, la figura centrale della nonna Felicita, detta Pinota.

Nei mesi di settembre ottobre, verso gli anni trenta, noi, sei ragazzi nipoti di Felicita, stavamo con lei in montagna con le mucche e le capre tornate dagli alpi e anche alcune galline portate su con il gerlo e con le gambe legate perché non volassero via. Sei ragazzi tutt’altro che tranquilli, cugini fra loro, la più grande aveva dodici anni e il più piccolo cinque.

Lei, la nonna dominava su tutti. Assegnava i lavori da fare, rimproverava, insegnava e consolava i piccoli per le immancabili sbucciature alle ginocchia. Era severa, ma mai cattiva, ed era capace di gestire quel gruppo di ragazzacci come un caporale. Mi pare ancora di vederla. Piccola, magra con la pelle scura, arsa dal sole e dal vento con un naso forte che spiccava sul volto scavato. Si vestiva sempre con una gonna scura e ampia e con il grembiule legato alla vita. Sopra la camicia bianca o quasi bianca, con le maniche rimboccate, portava un corpetto allacciato con piccoli uncini. Calzava soltanto e sempre gli eterni peduli e in testa non mancava mai la pezzuola scura a nascondere la piccola crocchia grigia. Aveva le mani forti e nodose abituate a ogni attrezzo di lavoro e per quel che si poteva vedere, le gambe storte per il gran portare pesi. Così si presentava a noi e mai che noi avessimo il coraggio di disubbidire o di criticarla. Magari scantonare un poco, quello sì!

Lei era la prima ad alzarsi e l’ultima a venire a letto. Alla sera sbrigava le faccende e preparava gli arnesi da lavoro per il giorno dopo. Poi finalmente si sedeva. Levava dalla tasca la corona del rosario e “In nomine Patris et Filii et Spiritus Santus” pregava per il lavoro, la salute dell’anima e del corpo di tutta la famiglia e per l’eterno riposo a chi prima di lei aveva abitato quella cascina. Noi tutti, nel grande lettone, sul saccone riempito di profumate foglie secche di faggio, ci addormentavamo cullati da quel mormorio. Quando al mattino rotolavamo fuori dal letto semi addormentati e affamati lei aveva già munto mucche e capre. Sul tavolo all’aperto se era bel tempo o se no seduti sullo scrigno, o cassone, o sulla grande panca vicino al fuoco divoravamo le fette di pane o più spesso quelle della polenta del giorno prima messa a mollo nel latte con un goccio di caffè oppure la minestra della sera precedente. Dar da mangiare a così tante bocche affamate non doveva essere facile in una casa dove i viveri arrivavano una volta alla settimana. Non abbiamo mai sofferto la fame. C’era latte in abbondanza, burro, formaggio, uova, se il falco non era calato a rapire le galline, polenta, minestra di riso e latte, qualche volta pasta e raramente patate.

Siamo cresciuti così, anno dopo anno, una vita attiva. Era nostro compito condurre le mucche al pascolo, andare a cercare le capre che salivano sempre in alto, portar letame, far legna, ma ci divertivamo anche con le corse per i prati, con giochi come Mosca, Bandera, “È arrivato l’ambasciatore”, “O che bel castello” e con le discese veloci sui pendii con un asse a mo’ di slitta frenando con i piedi. Ricordo anche le recite di tragicommedie inventate dalla sorella più grande. Il palco era la sommità pianeggiante di un grosso sasso situato in mezzo al prato. Uno dei giochi da me preferito era la sfida di chi ce la faceva più volte a passare sotto la pancia delle mucche che pascolavano senza esser calpestata o colpita dalla pesante coda sporca di letame. Per diversi anni restammo in montagna con la nonna poi, a poco a poco noi ragazze prendemmo il suo posto nei lavori con le bestie e con la truppa che variava di anno in anno. I ragazzi cresciuti restavano in paese e andavano a “imparar mestiere” e venivano rimpiazzati dai piccoli, gli ultimi nati.

Poi un giorno la nonna fu trovata svenuta in campagna dove si era recata a lavorare. Collasso cardiaco dichiarò il medico. Lei si riprese, ma non fu più la stessa. Si lamentava in continuazione di noi nipoti, cosa che non aveva mai fatto. Si ammalò e adagio adagio si spense come una lampada che non aveva più olio. Aveva settantacinque anni.

Ho parlato della Pinota che per me fu una figura importante, pur con tutte le sue contraddizioni, come ogni persona. Per lei, ad esempio tutto o quasi era peccato, come guardarsi allo specchio, il giocare alle carte come “quelli delle osterie”, la vanità, lo spreco, anche quello di un solo boccone di pane, ma soprattutto lo stare con i ragazzi. Era il suo modo di educarci e le sono grata perché ci voleva bene.

Ho conosciuto nonne che picchiavano i nipotini creando dei ragazzi ribelli. So di una nonna che non accettò mai la nipote forse perché non era d’accordo sulla scelta della moglie fatta dal figlio, ma si attaccò quasi morbosamente al nipotino colmandolo di regali e coccole.

Ho conosciuto anche una nonna che lodava e ammirava i nipoti avuti da una figlia, mentre disprezzava e criticava quelli di un’altra figlia creando tensioni fra le due famiglie. Purtroppo ci sono anche genitori separati che proibiscono ai figli di frequentare i genitori dell’ex coniuge. Ci sono però anche storie belle di nonni che, dopo il divorzio di uno dei figli, accettano con gioia i figli nati da una nuova famiglia, insegando ai bambini ad amare l’eguaglianza. Ai nostri giorni si chiama “famiglia allargata”. In qualsiasi situazione di conflitto, rancore e ingiustizia non bisogna mai dimenticare che la cosa più importante sono i bambini che hanno bisogno di pace e amore per crescere.

La relazione è stata completata da passaggi dal suo libro

“La forza delle donne”, racconti – edizioni Pudelundpinscher

 

Nel suo secondo libro, Bruna Martinelli dedica i propri ricordi a varie donne del suo paese e abbozza così l'immagine di una «condition féminine» molto comune nel Ticino rurale e religioso della prima metà del Novecento: l'immagine di una donna che aveva valore solo se era sposata e sapeva svolgere ogni lavoro di cui c'era bisogno. «Attualmente si parla tanto di uguaglianza tra uomo e donna. Mi sta bene, la trovo giusta. Mia nonna avrebbe detto che il mondo era diventato matto; a sentire lei, le donne dovevano ubbidire, lavorare, risparmiare e mai, mai starsene con le mani in mano. Ho visto donne con i ferri da calza in opera anche quando andavano in montagna. Per loro c'erano i carichi più pesanti e i lavori più noiosi. Tante erano considerate poco più delle bestie nella stalla.» (Bruna Martinelli)

 

  Brossura, 196 pagine, 13.2 x 17.6 cm Testo italiano e traduzione tedesca (Andreas Grosz) Prefazione di Giancarlo Verzaroli Con fotografie storiche  ISBN 978-3-906061-04-7