Una volta l’anno, solitamente d’autunno, AvaEva organizza un convegno tematico. È l’occasione per le donne della generazione delle nonne di approfondire con l’aiuto di specialiste uno o più temi che le riguardano. I successivi ateliers permettono poi alle partecipanti di ritrovarsi per riflettere e scambiare idee ed esperienze inerenti ai temi proposti. Un momento artistico e conviviale chiude la giornata in un’atmosfera gioiosa.

9° Convegno 2022: Clima, svegliamoci!

Verbale del Convegno AvaEva del 24 novembre 2022

Tema: Clima, svegliamoci!
Luogo: Agroscope Cadenazzo, A Ramél 18, 6594 Cadenazzo

La coordinatrice di AvaEva Valentina Pallucca Forte dà il benvenuto alle partecipanti e al relatore e ringrazia chi ha sostenuto l’Associazione nella realizzazione di questo convegno, in particolar modo fa riferimento al Percento culturale Migros.

Siamo ospiti di Agroscope Cadenazzo, uno dei 12 siti federali per la ricerca agronomica( Chi siamo (admin.ch)). Il direttore Dr.sc. ETH Mauro Jermini ci dà una panoramica dei mutamenti agrari in relazione al cambiamento climatico. Inizia la conferenza con uno degli aspetti più visibili: le neobiote, organismi esotici introdotti dall’uomo in Europa, sia intenzionalmente sia accidentalmente. Tra questi, si considerano specie invasive quelle che, grazie alla loro capacità di diffusione, rischiano di causare danni ambientali, sociali o economici. Si riconoscono tre categorie di neobiota:

  • i neozoi: animali
  • le neofite: piante 
  • i neomiceti: microrganismi 

Agroscope Cadenazzo, ma anche SUPSI, uffici cantonali e ditte private si impegnano a gestire questo problema causato fra altro dall’aumento della temperatura.

7° Convegno 2019: Autodeterminazione e dipendenza

7° Convegno: sintesi

Hotel Pestalozzi, Lugano – 21 ottobre 2019

 

Introduzione

Dopo essersi presentata,  la coordinatrice di AvaEva Valentina Pallucca Forte accoglie le partecipanti con un caloroso benvenuto al 7° Convegno dell’Associazione.

Successivamente ricorda l’importanza di AvaEva, gli scopi, gli obiettivi attuali e le ambizioni per il futuro, sottolineando quello che rappresentano per lei. Mette in luce quindi quanto sia interessante e stimolante per una giovane come lei conoscere e affiancarsi a donne che hanno “qualcosa da dire”.

Valentina evidenzia il lavoro dei sette anni in cui Norma ha coordinato l’Associazione ricordando che ora Norma è oggi diventata socia e le consegna a nome di AvaEva in riconoscimento del suo impegno, un omaggio floreale lasciandole poi la parola.

Norma si congeda ringraziando chi assieme a lei ha contribuito a far crescere l’Associazione.

In seguito la coordinatrice informa sulle questioni concernenti l’organizzazione complessiva della giornata, passando quindi all’apertura ufficiale del Convegno.

Autodeterminazione e dipendenza: perché la scelta di questa delicata tematica ?

Il Comitato nel scegliere come ogni anno il tema del Convegno, ha considerato il prolungamento dell’età della vita (soprattutto al femminile), individuando un vero rischio di vedere compromessa la propria autodeterminazione come diretta conseguenza.

Le donne della generazione di AvaEva sono per la maggior parte donne abituate da sempre a lottare, sia per vedere riconosciuti i propri diritti, sia per la dignità della propria famiglia.

Nella terza e quarta età si possono presentare fragilità che richiedono cure e maggior assistenza; il rispetto di queste e la considerazione dell’essere assistito e dei suoi bisogni potrebbe rischiare di venire meno.

In quest’ottica la giornata vuole contribuire alla riflessione sul tema e ci si auspica di poter dare alle partecipanti maggiori elementi per consentire una migliore delimitazione fra l’autodeterminazione e l’indipendenza nostra e quella degli altri, siano essi curanti o famigliari.

In seguito la Professoressa Maria Grazia Bedin dell’Istituto e Alta Scuola della Salute La Source di Losanna affronta la tematica oggetto della giornata, creando interesse e curiosità nelle partecipanti.

Relazione di Maria Grazia Bedin: Autodeterminazione e dipendenza 

> Leggi sintesi 
> guarda la presentazione in PowerPoint

Alla fine della relazione la professoressa Bedin risponde ai quesiti posti dalle partecipanti.

Segue una pausa caffè dove s’incontrano e dialogano con gioia le “habitué” dell’Associazione.

Dopo la pausa Norma Bargetzi e Romana Camani-Pedrina, riferiscono su quanto emerso nella ricerca di Elisabet Ryter e Marie Louise Barben dal titolo “Autodeterminazione e dipendenza – aspettative delle donne riguardo all’età avanzata”.

Relazione di Norma Bargetzi e Romana Camani-Pedrina 

> leggi la sintesi del testo di Barben e Ryter  
> guarda la presentazione in PowerPoint

Questo tema sarà oggetto di riflessione dopo il pranzo nel pomeriggio, durante i lavori di gruppo.

Subito dopo la pausa pranzo, le presenti si riuniranno in tre gruppi per discutere sul tema con particolare riguardo a tre ambiti fondamentali del problema: l’abitazione, l’assistenza e la cura e la capacità di decidere.

 

Sintesi dei colloqui nei gruppi

Gruppo 1 –  Moderazione: Patrizia Tami Facchini e Norma Bargetzi

Abitazione - Assistenza e cura

Il gruppo riflette sul dover lasciare la propria casa per un’altra abitazione più piccola e dover “disfarsi delle proprie cose” . Da sole non ce la facciamo più e abbiamo bisogno di aiuti esterni, come ad esempio una badante. Le mie cognizioni mentali sono scemate e altri devono prendere decisioni per me.

C’è stata una partecipazione corale e sentita alla discussione . L’ambiente che si è creato è stato molto bello. Le parole che inizialmente emergono da quasi tutte le partecipanti sono angoscia e terrore.
Il dover lasciare la casa e soprattutto gli oggetti che ci hanno accompagnato nella nostra vita, che ci hanno formato e il loro peso emotivo dà a tutte una grande angoscia: malgrado la parte razionale si sa che sarà necessario farlo.

Nel gruppo emergono anche voci più possibiliste, con un pensiero di essere meno egoiste e lasciare meno pesi ai nostri figli, memori della sofferenza nell'aver dovuto vuotare case piene all’inverosimile dei propri genitori o nonni. Questo può cambiare il nostro sguardo,  accettando la nuova sfida di creare un nuovo “nido” più piccolo, più adatto alle nostre nuove esigenze. Un’ altra soluzione potrebbe essere quella di condividere le proprie capacità con altri, vicini, amici e aiutarsi a vicenda. 

Si parlato molto anche delle case  anziani, molto temute per la maggior parte, ma anche qui alcune voci sono state a favore, ritenendole un modo per evitare l’isolamento. Per tutte manca una progettualità diversa verso l’anziano. Si vorrebbero meno case anziani viste come ghetto ma piuttosto piccoli quartieri intergenerazionali progettati in modo sicuro, come già avviene nel resto della Svizzera da molti anni. In Ticino purtroppo ancora non si fa ancora nulla in questa direzione.

Capacità di decidere 

Il terzo tema che suscita terrore è la perdita delle proprie facoltà mentali, le demenze che ci impediscono di decidere autonomamente e più tardi anche di capire ciò che succede intorno a noi. Si tratta di un tema molto delicato, e qui si auspica, quando ancora si è in piena facoltà, di designare qualcuno di fiducia che possa decidere per noi (potrebbero essere i figli o qualcun altro). Si è parlato inoltre del difficile tema della morte assistita.

Una cosa è stata molto chiara: bisogna parlarne, parlarne sempre e anche dare fiducia, dichiarare le nostre volontà, che possono anche essere cambiate nel tempo. Alla fine, malgrado i temi molto impegnativi, c'è stato un proficuo scambio di idee ricco di emozioni.

Gruppo 2 –  Moderazione: Raquel Galli Zirpoli e Patrizia Negri

Presenti: 11 signore + 2 conduttrici

Abbiamo iniziato con una breve e simpatica presentazione delle partecipanti. Questo è servito per sdrammatizzare e affrontare più serenamente gli argomenti che in ognuna di noi creavano fantasmi di un futuro ricco di problemi e paure.

Abitazione

Ognuna ha descritto la sua situazione attuale: casa troppo grande e difficile da gestire, scale e scalini che potrebbero limitare le uscite, piccoli paesi dove occorre l’auto per la spesa, grandi città dove regna il caos e nessuno ti conosce e così via. Abbiamo poi lasciato correre la fantasia di ognuno sulla domanda: “dove vorresti vivere?” Le risposte non si son fatte attendere: in una casa nel bosco in mezzo alla natura, in una piccola comunità intergenerazionale dove ci si conosce tutti e ci si può aiutare reciprocamente, tornare al paese d’origine, rimanere a casa mia perché ci sono affezionata, in un appartamento più piccolo facile da gestire, un appartamento vicino alla figlia.

Assistenza e cura

Nell’affrontare questi temi eravamo tutte d’accordo che sì bisognerà prepararsi all’inevitabile cambiamento e imparare a chiedere aiuto quando necessario. La maggior parte delle partecipanti era restia a chiedere aiuto ai famigliari e preferirebbe far capo ai servizi Spitex sul territorio. Un'altra risorsa importante potrebbero essere gli amici: con loro si potrebbe usare la reciprocità e non la dipendenza.

Risulta difficile trovare o aspettarsi soluzioni generalizzate. Abbiamo così concluso che accetteremo il cambiamento cercando di mantenere l’individualità e la creatività di ognuna.

Gruppo 3 –  Moderazione: Romana Camani-Pedrina e Regula Matasci-Brüngger

Abitazione

Traslocare, ma dove? Il nostro gruppo ha cercato soluzioni alternative a un normale appartamento. Casa anziani? Difficile, le liste di attesa sono lunghe. Come buon esempio di una casa anziani viene menzionata quella di Castelrotto e fra poco, gestita della medesima fondazione, quella di Caslano. Stabili intergenerazionali? Mancano queste strutture in Ticino. Desiderio di tutte: una casa con un’anima, centrale e non segregata.

Assistenza e cura

Vivere a casa propria, senza aiuto esterno, diventa impossibile. Informazioni su come gestire la situazione possono essere ricevute da Pro Senectute. Spitex? Badante? In questo caso si può rivolgersi a Opera prima. Esistono assegni per cura a domicilio per le persone beneficiarie di una rendita AVS o AI il cui stato di dipendenza esige l'aiuto di altre persone (siano esse un familiare, o terze persone) per poter rimanere al proprio domicilio ed evitare quindi il collocamento in istituto. Ma il più importante in questa situazione rimane il supporto affettivo.

Capacità di decidere

Nel gruppo si è discusso dell’importanza di prevenire situazioni difficili nel caso in cui le capacità cognitive diminuiscano. Tramite un mandato precauzionale posso decidere chi dovrà rappresentarmi in caso di incapacità di discernimento, ma resta difficile stabilire chi sia la persona più idonea. Importante e andar incontro al futuro con fiducia.

Nuovamente in plenaria ciascun gruppo ha relazionato brevemente sull’andamento della discussione e sulla sintesi del dibattito interno a ciascun gruppo.

 

I prossimi passi di AvaEva - Conclusioni

Prima di congedare le partecipanti, Valentina informa brevemente sui prossimi passi di AvaEva. In particolare si accenna ai seguenti gruppi: “Sessualità”, “Sora morte” e alla serata della “Maratone di storie” che si è svolta l11 ottobre 2019 presso la Biblioteca del Gambarogno. Interviene anche Veronica Carmine, coordinatrice del progetto GAM “Generazione al museo”, che racconta qualcosa a proposito di questo progetto e coglie l'occasione per invitare le donne di AvaEva a partecipare a delle visite guidate pensate appositamente per loro.

Si invitano le partecipanti a visitare il sito web in modo da essere sempre aggiornate sulle attività di AvaEva. 

La giornata si conclude in allegria e convivialità con un momento musicale gentilmente offerto dal coro dell’ATTE di Collina d’oro, diretto dal Signor Franco Masci.

 

 

 

 

 

8° Convegno 2021: Maltrattamento e abuso

8° Convegno: sintesi

Bellinzona – 13 ottobre 2021

La coordinatrice di AvaEva Valentina Pallucca dà il benvenuto alle numerose partecipanti e ringrazia chi ha sostenuto l’Associazione nella realizzazione di questo convegno, in particolar modo fa riferimento al Percento culturale Migros e al Consiglio degli anziani del Canton Ticino.
In seguito presenta le AveEve che formano l’attuale Comitato; Patrizia Negri, Regula Matasci-Brüngger, Monika Lechner-Pietzko e Odille Pedroli-Conrad. Ciascuna saluta le partecipanti e onde favorire la loro conoscenza trasmette una breve sua presentazione personale.

Pallucca informa che di seguito darà la parola alla Signora Chiara Orelli Vassere da poco nominata coordinatrice Istituzionale in ambito di violenza domestica, presso la Direzione della Divisione della giustizia. La relatrice trasmette i saluti anche a nome delle autorità Cantonali ed esprime molta soddisfazione nell’apprendere dell’interessamento di AvaEva di voler riflettere ed approfondire una tematica che ritiene purtroppo molto attuale, necessaria ed in crescita. Sottolinea che la violenza domestica sia fisica, economica, rivolta a giovani, donne o no, ritiene assolutamente necessario individuare quali possano ritenersi le migliori strategie d’adottare per poter prevenirla. Sottolinea che questo sarà il prossimo compito che l’attende.

Riprende la parola Pallucca per avvertire che per favorire un migliore approccio alla tematica del maltrattamento, interverrà prima la Dott.ssa Ravera e successivamente la Prof.ssa Sargenti.

La Dott.ssa Francesca Ravera è psicologa e psicoterapeuta, opera da qualche anno nel Servizio di Promozione e Qualità di Vita di ProSenectute. Le sue esperienze professionali in riferimento alla tematica oggetto di studio, hanno origine nei momenti in cui in qualità di psicoterapeuta operava in una Casa anziani in Italia ma anche all’attività svolta allo sportello di ProSenectute aperto proprio a chi ne ha bisogno di sostegno in merito a modalità che potrebbero collocarsi in casi di abuso anche se lievi.

Ravera prende la parola ed inizia presentando il servizio di ProSenectute in cui opera e accenna alle esperienze professionali attuali e precedenti in casa anziani ed in un consultorio famigliare, per meglio collocare la sua esperienza. Ribadisce che il lavorare con le famiglie ma anche con solo gli anziani, abbia arricchito notevolmente le sue esperienze in particolar modo nel campo difficile e delicato dei maltrattamenti Chiede alle partecipanti di intervenire quando lo ritengano necessario. Il risultato è stato quello di poter assistere ad una vera e propria interazione, molto dinamica fra lei e le presenti che arricchisce ulteriormente la presentazione di Ravera ma anche la partecipazione.
Oltre alle esperienze sul campo, la relatrice accenna a un libro “Persone Care” di Vera Giaconi Edizioni Sur, che in dieci racconti trasmette il legame fra le persone care.
Sottolinea che proprio le persone care son quelle che ci impegnano di più nella vita; lo stare vicino ed occuparsene delle persone care può diventare un impegno insostenibile.

Pone il quesito alle partecipanti “che cos’è il maltrattamento?”.
Una partecipante si riferisce al rallentamento di suo marito durante l’invecchiamento che a lei creava impazienza e sostiene che se non era attenta e controllata, l’avrebbe trattato male. Il fatto della difficoltà che pone l’anziano con i cambiamenti temporali e non solo richiede pazienza e autocontrollo. Inoltre dover ricordare all’anziano costantemente molte regole del comportamento, come agli adolescenti, può anche fare innervosire il famigliare che lo assiste.

A tale proposito Ravera affronta subito le modalità relazionali fra l’anziano e chi l’accudisce accennando a quanto in modo ricorrente l’anziano viene trattato come un bambino oppure un adolescente, perdendo completamente di vista che l’anziano non è sprovvisto di esperienze, quindi non è all’inizio della vita. Inoltre l’uso di vezzeggiativi e coccole fuori luogo o altre forzature, vengono purtroppo talvolta usati quotidianamente.

Riprendendo i cambiamenti rispetto al fattore tempo, va detto che da giovani non si vede l’ora di poter rallentare; il non dover correre sempre, si vede come qualcosa che porta alla libertà, eppure quando l’anziano rallenta per gli altri è uno shock. Bisognerebbe accorgersi della necessità di accompagnare questo rallentamento che potrebbe porci di fronte alla fragilizzazione dello stesso anziano. In questa direzione si potrebbe sostenere che “perdere la pazienza” o comportamenti simili, denotano scarsa accettazione dei cambiamenti che l’anziano in quanto tale sta attraversando.

A questo punto proviamo a definire il maltrattamento degli anziani e ci domandiamo se é un atto, un gesto o un atteggiamento e per analizzarlo è anche necessario interrogarsi sul rapporto che c’è tra chi mette in atto un atteggiamento maltrattante e chi lo riceve. Sarebbe necessario inoltre riflettere sull’entità stessa dell’atto maltrattante e sulla gravità o meno.
Possiamo affermare che «Il maltrattamento degli anziani è un insieme di comportamenti o di atteggiamenti, singoli o ripetuti che riguardano la persona anziana all’interno di un contesto di confidenza o di dipendenza che può causare l’esaurimento o delle ferite a queste persone.
Il maltrattamento può essere di tipo fisico, morale, finanziario, sessuale o più semplicemente negligenza.»

A questo punto però è necessario distinguere la violenza dal maltrattamento ordinario.
Nella violenza assistiamo ad una intenzionalità negativa dove l’aggressività attiva del maltrattante, procura un grave danno psicofisico all’anziano. In questo caso i mass media danno grande enfasi al problema, dichiarano apertamente forte indignazione e tolleranza zero e ribadiscono gli estremi per l’intervento a livello legale.

Il maltrattamento ordinario invece è involontario e non intenzionale, quindi l’aggressività del maltrattante è passiva. Il danno che procura è psicologico quindi invisibile ed è riscontrabile sia in ambito istituzionale o nel contesto domiciliare. Si tratta di un fenomeno che viene ignorato dai media e dall’opinione pubblica, in cui gli estremi per un intervento legale non emergono.

A questo punto possiamo affermare che il rischio zero di maltrattare non esiste, ed i fattori che possono determinarlo sono svariati.
Assistiamo ad esempio a differenti percezioni rispetto a ciò che riteniamo maltrattante o a cosa non lo é. Queste differenze dipendono da noi e dai nostri valori, capacità, modi d’intendere, ma anche dalla conoscenza che abbiamo dell’anziano che abbiamo di fronte.
Risulta innegabile la difficoltà che genera l’occuparsi di soggetti con problematiche cognitive, ed il riconoscimento della frustrazione che talvolta la pratica professionale con questi soggetti genera, non sempre è a portata di tutti.
Uno stesso gesto, atto, atteggiamento potrebbe avere conseguenze diverse in contesti diversi e con persone diverse.

Esistono però alcuni fattori di rischio nel famigliare curante, che potrebbero mettere a repentaglio una “sana relazione” con l’anziano.
Ad esempio la sensazione d’impotenza, il sovraccarico di impegni, lo stress, l’esaurimento, possono ridurre la capacità cognitiva del caregiver. Se a ciò aggiungiamo la mancanza di gratificazione per il lavoro svolto, le eventuali difficoltà economiche e sociali, la dipendenza economica dalla persona anziana, la non conoscenza e accettazione della malattia del proprio caro, è facile avvicinarsi al rischio di maltrattare.
Per quanto detto riteniamo un grosso rischio il dover essere unico caregiver; la convivenza in ambiente ristretto, l’isolamento sociale e l’assenza di sostegno e aiuto esterno, favoriscono le difficoltà relazionali con il soggetto da accudire.

Pur consapevoli che ogni anziano è una persona unica e diversa dalle altre attorno alla quale gravitano molteplici dinamiche famigliari e istituzionali, abbiamo riscontrato alcune caratteristiche comuni agli anziani dipendenti che di seguito elenchiamo.
Generalmente ci si riferisce ad un paziente complesso, con un forte bisogno di cure sia tecniche che emotive e relazionali, (alta dipendenza da terze persone come caregiver, badante, spitex, figli), che presenta disturbi cognitivi, disturbi della comunicazione con difficoltà di espressione e comprensione, disturbi comportamentali e/o di aggressività con pochi contatti sociali.

Onde completare questa riflessione ci sembra opportuno identificare alcune delle cause che potrebbero generare il maltrattamento.
Fra le cause relazionali troviamo alla base il rapporto anziano/caregiver, caratteristiche del famigliare, dell’ospite, dell’operatore, ed i bisogni di ciascuno di questi. Per quanto riguardano le cause situazionali/ambientali troviamo i fattori contestuali, le condizioni di lavoro, le questioni organizzative.
Fra le cause sociali risulta determinante l’immagine che si ha delle case per anziani, e contemporaneamente l’immagine e la rappresentazione che la società ha degli stessi anziani.
Infine sono determinanti anche le eventuali cause personali e cioè i disturbi psichici dei curanti, il probabile disagio emotivo, la motivazione al lavoro, lo stress, l’insoddisfazione.

Da quanto enunciato fino ad ora ci permettiamo di ribadire alcuni elementi essenziali che potrebbero garantire ai professionisti una miglior presa a carico dell’anziano.
Riteniamo fondamentale la conoscenza delle patologie cognitive, psichiatriche, dipendenze e delle loro manifestazioni e correlazioni e la conoscenza della biografia dell’anziano e/o dell’anamnesi clinica del paziente.
Infatti solo con una solida formazione, in presenza di competenze tecniche e relazionali, e basandosi in una solida conoscenza di sé, dei propri limiti e risorse, è possibile affrontare una relazione professionale solida e predisposta a mettersi in discussione e riflettere sul proprio agire professionale.

 

Carla Sargenti è stata docente e ricercatrice al DEASS della SUPSI e da poco in pensione, da quaranta anni si occupa professionalmente di geriatria e gerontologia.
La riflessione che porta è frutto di esperienze maturate in questi ultimi 20 anni, in effetti a fine anni ‘90 lavorava già su questo tema a Ginevra. La sua attività di formazione alla Supsi, la collaborazione con PIPA a partire dal 2000 le hanno permesso di arricchire l’esperienza professionale. La ricerca nelle Case per Anziani attuata dal Centro Competenza Anziani della SUPSI per conto del Cantone ha aggiunto un tassello importanti al suo bagaglio professionale; è proprio di questa indagine che parlerà.

Sargenti specifica che parlerà di Maltraitance Ordinaire (in seguito MO) chiamata anche maltrattamento passivo o istituzionale e di Bientratance (in seguito Bi). Fa presente che il 70% dei maltrattamenti avviene nelle mura domestiche mentre il rimanente 30% in istituzione.

La MO é quel tipo di maltrattamento che si insinua in modo impercettibile nei gesti di vita quotidiana, è molto rischiosa e tende ad essere banalizzata perché apparentemente invisibile e dunque, viene quasi accettata passivamente. E’insidiosa perché non si manifesta attraverso gesti clamorosi e chiaramente definiti, ma attraverso «piccole» negligenze e disattenzioni quotidiane.
Alcuni esempi sono fare una toilette velocemente, imboccare senza prestare attenzione alla persona, non rispondere a richieste di vicinanza ed ascolto, l’utilizzo di un linguaggio non conforme e poco rispettoso, i rumori, ecc…

La MO si annida nei piccoli gesti quotidiani ed è la banalizzazione di queste stesse azioni da parte dell’anziano ma anche da chi se ne occupa di lui, a renderla pericolosa. Non procura ematomi ma vere e proprie lesioni psicologiche.
Talvolta le norme, le prassi istituzionali, le regole organizzative che l’anziano non gradisce (orari di cena o di lasciar la camera) oppure l’eccessiva stimolazione a partecipare a differenti attività possono far parte della MO.

Ma nella maggior parte delle situazioni di MO, non vi è necessariamente intenzionalità, o coscienza di nuocere, ma piuttosto domina prioritariamente l’assenza di coscienza, di pensiero, d’intenzione, di empatia … In definitiva, prevale l’assenza dell’Altro.

Sargenti affronta di seguito il tema della bientraitance (Bi) e individua l’approccio che la caratterizza come il cammino che le organizzazioni e i professionisti devono compiere per sviluppare quella cultura comune che pone realmente al centro il rispetto incondizionato della persona, rendendola a pieno titolo co-autrice del suo percorso (partecipazione del residente e dei famigliari alle decisioni e al suo progetto di vita), rispondendo così ai principi enunciati nella Carta della bientraitance e all’evoluzione legislativa in materia di tutela dei diritti umani.

La Bi si traduce in una cultura condivisa che ispira le azioni individuali e le relazioni collettive all’interno di un servizio, a partire da visione e valori istituzionali declinati nell’agire e interagire quotidiano.
Si caratterizza nella ricerca permanente e continua di personalizzazione della prestazione e richiede uno scambio continuo tra tutti gli attori coinvolti.
Valorizza il ragionamento critico che porta a una costante riflessione etica collettiva sulle pratiche professionali, permettendo quella dinamica di circolarità di pensiero e azioni richiesta dalla complessità.

A livello operativo la Bi promuove il rispetto incondizionato della persona anziana, dei suoi diritti e delle sue volontà, della sua storia, della sua dignità e della sua individualità; rendendola a pieno titolo co-autrice del suo percorso.
Incoraggia quindi il saper essere, un saper agire, un saper ascoltare e un saper dire, attento all’altro, reattivo ai bisogni e alle richieste dell’anziano e rispettoso delle scelte e ancora di più dei rifiuti.
Perciò dà impulso ad un’attitudine di attenzione e di adeguamento permanente all’evoluzione dei bisogni e alle situazioni specifiche delle persone anziane.
Per quanto detto il modello della Bi ci porta ad aderire a tutti i suoi principi e a condividere tutti i valori dichiarati a livello teorico; a livello pratico però è più difficile renderli praticabili nella quotidianità professionale di tutti i giorni.
Sovente l’operatore deve sapersi confrontare con i rifiuti (di cura, di assistenza, anche personali) … accettarli senza scoraggiarsi non sempre è facile. Possiamo affermare che quando le situazioni sono semplici, tutto va bene, ma che di fronte a reazioni inattese, dilemmi esistenziali, rifiuti, scelte difficilmente condivisibili o quando la sua scelta è diametralmente opposta a ciò che avrei fatto io, le soluzioni non sono mai scontate!
Pensiamo poi a quando so che questo atteggiamento è nocivo alla sua salute,è contrario al principio di salute o di igiene … ma è una sua scelta e denota l’autodeterminazione!? Quanto tempo è necessario per decidere il da farsi e quanta riflessione risulta necessaria prima di arrivare a stabilire la scelta finale?
Poi, è da tenere presente che individualmente possiamo essere tutti attenti, rispettosi, ma a livello di gruppo, di équipe, di settore, è possibile sempre osservare tutto quello che la Bi consiglia?

Sargenti dopo questa necessaria e ricca premessa, ritiene complementare affrontare anche se non in modo approfondito, gli elementi fondamentali della ricerca del 2013-15 diventata progetto a partire del 2016 sul tema «Prevenzione del maltrattamento e promozione della bientraitance» .

La DASF (divisione dell’Azione Sociale e delle Famiglie) come si accennava all’inizio, decide di approfondire il fenomeno del maltrattamento nelle Case per Anziani, propone il mandato al team SUPSI-Centro Competenze Anziani che imposta il percorso basandosi su un approccio aperto, qualitativo.
Gli obiettivi individuati erano acquisire elementi di comprensione della complessità del lavoro in Casa per Anziani (competenze, comportamenti, formae mentis, …), valorizzare l’impegno degli operatori e identificare fattori di rischio e protezione rispetto alla maltraitance ordinaire/bientraitance delle persone residenti.

I valori che hanno guidato il progetto e la ricerca sono i seguenti.
Il rispetto della persona, della sua dignità ed intimità, della riservatezza e della privacy.
Il rispetto dell’AUTODETERMINAZIONE della sicurezza e della libertà.
Il riconoscimento dell’identità della persona e del suo progetto di vita, nonché la garanzia di continuità nei diversi processi (accoglienza, accompagnamento,…)

La partecipazione alla ricerca era su base volontaria; è stato creato un campione rappresentativo composto da 17 case. Oltre a queste e alla fine della ricerca altre case hanno sollecitato per poter aderire al progetto arrivando ad una trentina d’istituti partecipanti.

In ognuna delle case del campione, è stata effettuata un’osservazione strutturata, è stata somministrata una scheda ai collaboratori, è stata analizzata la documentazione interna (protocolli, struttura, strumenti di cura, ecc). E’ stato creato un focus group con i quadri istituzionali per approfondire gli elementi emersi e raccogliere ulteriori informazioni.
Al termine sono stati restituiti i risultati sensibilizzando i collaboratori sulla situazione riscontrata ed è stato redatto un rapporto conclusivo.

 

Alcune tendenze emerse e su cui riflettere.
Da questa esperienza emerge che nelle strutture per anziani del Cantone vi è grande impegno, molta motivazione e una vasta apertura, ma forse bisogna soffermarsi e meglio riflettere sulla scarsa consapevolezza di situazioni di Bi (rispetto ai valori di riferimento).
E’ emersa infatti la difficoltà a cogliere la ricchezza e la raffinatezza sviluppata in queste circostanze, dunque la difficoltà a far divenire queste prassi un esplicito modello di riferimento che quindi potrebbero costituire situazioni riproducibili!
E’ affiorato un certo stupore di fronte a situazioni di MO, già identificate dall’organizzazione ma che si ripresentano (rumore assordante durante i pasti, parlare della persona in terza persona, scarsa attenzione all’intimità, …)
E’ apparsa una diversificazione evidente, specialmente negli stili relazionali e nelle sensibilità rispetto ai comportamenti. (rappresentazioni, percezioni individuali, e/o una probabile non solida conoscenza gerontologica-geriatrica).
E’ rilevata la presenza di troppi progetti in corso, con eccessiva pressione sui collaboratori (stanchezza e potenziale inefficacia).

La sensibilizzazione ha consentito agli operatori di interrogarsi su prassi consolidate, su “stili comunicativi” e “modus operandi” non omogenei. È stato loro possibile quindi di scoprire e valorizzare buone prassi ed eccellenti modalità d’interazione e riconoscimento dell’altro, e di acquisire maggior consapevolezza e condivisione, ma anche di rinforzare la posizione delle direzioni e dei quadri intermedi rispetto a tematiche scottanti. 

Nel processo di promozione della Bi assumono particolare importanza la dimensione manageriale e organizzativa al fine di permettere lo sviluppo di una cultura condivisa a partire da visioni e valori istituzionali declinandoli nell’agire e interagire quotidiano!
Potenziare e sostenere concretamente nella quotidianità momenti condivisi di discussione di situazioni/casi clinici complessi attraverso i quali interrogarsi tanto a livello di buone cure, che di funzionamento del gruppo, diventano fondamentali.
Individuare, monitorare e condividere i diversi rischi di deriva (MO) in un’ottica di co-costruzione (statuto dell’errore).
Promuovere la corresponsabilità collettiva; tutti «responsabili» dell’agire del gruppo.

In quest’ottica diventa fondamentale avere un quadro istituzionale stabile, trasparente, con regole conosciute, e una posizione chiara rispetto al fenomeno dei maltrattamenti.
E’ determinante poter definire ed esplicitare ciò che si riesce e non si riesce ad offrire !
E’ molto importante verificare fin dall’ingaggio, poi monitorare alcuni aspetti legati alle rappresentazioni, alla definizione dei percorsi formativi in modo chiaro e consequenziali, per garantir il consolidamento della trasposizione nella pratica. 

A questo punto e per riassumere Sargenti sostiene che la bientraitance NON è solo assenza di maltrattamento e NON è solo prevenzione del maltrattamento, ma è da considerarsi un processo dinamico di cambiamento culturale, un orizzonte verso cui tendere, mai definitivamente acquisito, richiede una mobilizzazione di tutta la struttura (compresi residenti e famiglie) in un progetto collettivo e trasversale.
Considera quindi la Bi una costante rimessa in questione delle pratiche professionali e delle modalità di accompagnamento e una predisposizione all’interrogativo accogliente piuttosto che alla risposta preconfezionata e statica.

Infine vengono ribaditi alcuni messaggi da portarsi a casa alla fine di questo pomeriggio quali ad esempio:
Ognuno, nel proprio ambito e ruolo, deve sentirsi responsabile, di promuovere attitudini bientraitantes, ponendo l’attenzione ai diversi rischi di deriva …
«per il suo bene», «l’ha detto il dottore», «abbiamo sempre fatto così», «io farei così», banalizzare, ecc. ...
Chi compie un gesto non adeguato, ha un’attitudine poco rispettosa dell’altro, NON lo fa (generalmente) per nuocere!
Siamo tutti a rischio d’incorrere in attitudini di MO.

È importante

  • Conoscere il fenomeno e interrogarsi sulle infinite aree grigie!
  • Condividere e parlarne in un clima di fiducia.
  • Interrogarsi costantemente e non dare niente per scontato.
  • CURARE CHI CURA

 

 

6° Convegno 2018: Incontrare la vecchiaia

6° Convegno: sintesi

Casa del Popolo, Bellinzona – 25 ottobre 2018

 

Introduzione

Norma Bargetzi, coordinatrice di AvaEva, apre la giornata dando a nome del comitato il benvenuto alle presenti ed esprimendo il piacere del ritrovarsi con coloro che già si conoscono e con tante altre che partecipano per la prima volta.
AvaEva è attiva ormai da 5 anni, un lustro che nella sua etimologia significa: lucente, che rileva uno stato di benessere. AvaEva in questi 5 anni di attività si è fatta portavoce di temi importanti relativi all’invecchiamento femminile dando luce a risvolti spesso “in ombra” di una tappa di vita per la quale non esistono modelli a cui riferirsi. Augura che anche la giornata odierna sia sotto l’auspicio di questa definizione: stare bene assieme!

Norma Bargetzi trasmette i saluti di tante avaeve che per diversi motivi non possono essere presenti.
Trasmette pure i saluti di Jessica Schnelle, responsabile del progetto Generazioni del Percento culturale Migros, che augura una giornata proficua e aggiunge: “Bello come siete riuscite a continuare il lavoro da quando vi siete costituite in associazione! Complimenti per come riuscite a dare spazio ai temi importanti che concernono le donne della generazione delle nonne. Donne come voi sono necessarie!”
Silvia Vigetti Finzi, già relatrice al Convegno di AvaEva 2014, ci trasmette i suoi saluti: “Io vi trovo bravissime e partecipo con la mente e con il cuore a tutti gli eventi. È vero che viviamo in un’epoca di individualismo ma per noi, vissute in epoche migliori, questa limitazione non vale, almeno a mio avviso. Colgo l’occasione per augurarvi il successo che le vostre iniziative meritano.”

Norma Bargetzi presenta le membre del comitato: Daniela Abruzzi, Romana Camani-Pedrina, Raquel Galli Zirpoli, Frieda Lüscher, Barbara Stämpfli e Anita Testa Mader. Introduce poi al tema della giornata attraverso una vignetta inviatale da Daniela Abruzzi, attualmente all’estero:

 Mafalda Vintage

 

Noi la vecchiaia la vogliamo incontrare diversamente. Attraverso spazi di scambio, condivisone, riflessione e approfondimento dei temi che ci concernono in prima persona a livello individuale ma anche collettivo. Spazi creativi, intimi, che vanno dall’occuparsi della morte, alla condivisone durante camminate attraverso percorsi particolari, dalla riflessione sui valori trasmessi o forse anche persi, alla sessualità femminile over 60 quale grande tabù. L’invecchiamento al femminile è il nostro tema, ecco perché desideriamo chinarci in un contesto allargato quale quello del convegno su questo tema. Con la fiducia reciproca che ormai ci contraddistingue, in un’atmosfera di amicizia e solidarietà, e con il prezioso contributo di un’esperta in temi di femminilità ed anzianità.

Relazione di Marina Piazza: Incontrare la vecchiaia > Leggi

Presentazione di testimonianze:
–  di bambine e bambine della scuola d’infanzia di Pregassona
– disegni di un gruppo di esploratori
– scritti di giovani d’ambo i sessi che hanno risposto con disegni e testi allo stimolo “donna anziana”
   > Guarda la galleria disegni piccoli > Guarda i testi dei piccoli

 

Sintesi dei colloqui nei gruppi

Nel pomeriggio le partecipanti si sono suddivise in tre gruppi per discutere e approfondire tra loro le riflessioni sui temi sollevati nella mattinata.

 

Atelier 1 – “Incontrare la vecchiaia”  – con la partecipazione di Marina Piazza – Moderazione: Anita Testa-Mader e Romana Camani-Pedrina

Anita Testa ha introdotto la riflessione ricordando che, se il gruppo milanese animato da Marina Piazza nell’ambito di un corso presso la Libera Università delle donne aveva affrontato un po’ tutti i temi legati all’invecchiamento femminile, all’interno di AvaEva questa riflessione a tutto tondo avviene piuttosto in seno in gruppi tematici.

Il gruppo ha poi approfondito alcuni aspetti legati alla relazione della mattina, confrontando anche la nostra esperienza ticinese con quella milanese riportata dalla relatrice. Fra i temi evocati – e in riferimento alla prima vecchiaia fra i 65 e i 75 anni – ne ricordiamo qui alcuni in particolare:

–  La presa di coscienza della nostra crescente vulnerabilità.
–  La percezione di uno scollamento fra mente e corpo (in cui la prima è vivace e attiva come sempre e il secondo fatica a seguirla, o la prima fatica ad accettare i limiti imposti dal secondo). I malanni anche non gravi e gli acciacchi del corpo ci  preoccupano perché ci si profila lo spettro di una malattia vera.
–  La rivendicazione di un diritto a invecchiare, con la possibilità di essere sé stesse, magari anche incapaci per alcuni aspetti, di fronte p.es. a famigliari che non vogliono vederci invecchiare e ci vorrebbero energiche e scattanti come in passato (qualcuna evoca anche il diritto di non tingersi più i capelli).  Ciò implica, oltre ad accettarci noi stesse, lo sforzo supplementare di doversi a volte imporre per essere accettate come siamo.
–  L’importanza dell’amicizia in questa fase di vita e delle opportunità di scambio, verifica, sostegno che offre; ma si ricorda anche che tante amicizie scompaiono, che ora è difficile allacciarne di nuove e queste, contrariamente alle amicizie di una vita, sono puntuali, legate a singoli interessi specifici (libri, cinema, camminate, ecc.).
–  La necessità di un pizzico di autoironia. Ma anche di avere uno sguardo benevolo su di sé.
–  Le contraddizioni di questa fase di vita: la libertà, la possibilità di porre i nostri bisogni davanti a quelli degli altri, talvolta però anche la necessità di imporre loro il nostro stato del momento; la necessità di accettare situazioni che prima aborrivamo ma che ora riconosciamo che ci convengono. Qualcuna ritiene che questo sia il periodo più sereno se non felice della sua vita; altre parlano di un senso di torpore, indecisione che aleggia, quasi un’anticamera del vuoto, e della difficoltà di attendere che le cose si chiariscano.

A questo proposito Marina Piazza ci ricorda che la vecchiaia è un periodo interessante ma difficile. Prima di concludere, Anita Testa ci riporta al passaggio che chiude il libro “Incontrare la vecchiaia” in cui Marina Piazza riporta una sua esperienza di malattia esortando le lettrici a “imparare a chiedere per sé”. Nel gruppo l'autrice sottolinea l’importanza per noi di saper “accettare il dono”.

Al termine vengono distribuite alcune schede con degli estratti del libro di Marina Piazza quale stimolo a continuare la riflessione su alcuni temi che punteggiano questa nostra fase di vita.

 

Atelier 2 – “Loro come ci vedono?” – Moderazione: Barbara Stämpfli e Sonja Crivelli

Il gruppo era composto da dieci donne, noi comprese. Ci siamo messe in cerchio e abbiamo iniziato a proporre le domande che avevamo preparato.

La presentazione fatta sul come ci vivono i bambini attraverso i loro disegni, i testi scritti dalle bambine e il filmato hanno fatto nascere una discussione che ha coinvolto  tutte. Ci siamo rese conto che le bambine, i bambini e le ragazze hanno disegnato e parlato soprattutto delle nonne e non delle donne anziane. Alcuni disegni e scritti hanno suscitato commozione perché abbiamo sentito che ci amano.

Dalla nostra esperienza risulta che i rapporti e le conoscenze delle persone anziane avvengono quasi esclusivamente nella cerchia famigliare. Sono piuttosto rare le occasioni e i momenti di condivisione intergenerazionali.Ci siamo rese conto che il nostro ruolo comprende anche quello di portatrici di segreti nostri e loro. Quante volte noi nonne non abbiamo raccontato episodi o condizioni della nostra vita alle nostre figlie e figli? Ora abbiamo un ruolo diverso nei confronti delle e dei nipoti e siamo maggiormente disposte a raccontarci. Segreti che riguardano le nostre paure, oppure le difficoltà incontrate durante il nostro percorso di donne e genitori. Anche le e i nipoti confidano i loro piccoli segreti e questo ci autorizza a pensare che siamo visibili, che sono consapevoli dei nostri ruoli e che ci danno fiducia. Abbiamo anche avuto la sensazione che il nostro invecchiare non è vissuto e raccontato come di solito il mondo che ci circonda ci descrive. La nostra anzianità è normale, fa parte della loro vita.

Noi donne di AvaEva svolgiamo un compito importante nell'infrangere lo stereotipo della vecchiaia e della donna vecchia, un'immagine e un'identità diverse dalle nostre mamme e nonne. Stamattina abbiamo potuto cogliere come le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi sanno cogliere degli aspetti che a noi sembrano evidenti ma che vengono sottolineati positivamente come quello dell'uso dei mezzi informatici. Spetta quindi a noi dimostrare che abbiamo desideri, progetti, interessi e positività.

Alla fine abbiamo chiesto se qualcuna del gruppo avesse dei suggerimenti per AvaEva. Molte hanno proposto di continuare questo modo di indagare soprattutto chiedendo di entrare nelle scuole. E’ un tema che sarebbe interessante discutere con docenti e allievi delle scuole medie e forse anche alle elementari. Si è pure parlato dell'importanze di creare case per anziani integrate a pieno titolo nel tessuto sociale.

 

Atelier 3 – “Eva anziana” – Moderazione: Frieda Lüscher e Norma Bargetzi

Le circa 15 partecipanti si sono espresse in merito al loro desiderio di condividere temi inerenti a Eva la donna anziana, e non solo la nonna, quale è stata molto evidenziata nella presentazione delle testimonianze dei bambini e ragazzi riportate al mattino. Si constata che le associazioni mentali che emergono dalle testimonianze raccolte riproducono stereotipi ruotanti attorno alla “nonna di Cappuccetto Rosso”, che non corrispondono più alla realtà.

Le donne vecchie single sembrano non esistere nella rappresentazione collettiva: alla donna anziana viene subito associata la figura della nonna. Ci si interroga rispetto all’identificazione della donna con lo stato di famiglia: come contrapporre un’altra immagine? Marina Piazza parlava nella sua relazione di doppia discriminazione: donna vecchia in un mondo patriarcale. Per la donna single vecchia la discriminazione è dunque addirittura tripla.

Non abbiamo modelli ai quali orientarci. Siamo pioniere per nuovi vissuti e nuovi modelli? Ci ricolleghiamo a esperienze passate, dove il coraggio per la diversità di opinioni e nuovi modelli di vita sono stati importanti. L’importanza della solidarietà e condivisione è evidenziata dallo scambio in questo contesto, dove esperienze e vissuti arricchiscono la riflessione in merito al nostro incontro con la vecchiaia.

Concludiamo con l’idea di una partecipante a raccogliere testimonianze di donne vecchie da presentare in un contesto di scambi culturali (es. La Filanda di Mendrisio). Il progetto verrà segnalato nella prossima NL di AvaEva.

 

Presentazione di un nuovo progetto

Barbara Stämpfli presenta un idea maturata negli scorsi anni.

AvaEva è diventata interlocutrice per temi inerenti alla vecchiaia femminile. Vorremmo creare uno spazio definito per le richieste di consulenza, ascolto e sostegno che ci giungono. Uno spazio di triage da dove poter indirizzare le richieste a servizi già esistenti, ma anche un’offerta di ascolto per temi specificamente femminili come pure una messa in rete di donne anziane toccate da temi simili che le connettono e concernono. Crediamo che il non essere viste e riconosciute non aiuta ad avere una buona qualità di vita: qualità di vita che non comprende esclusivamente buone finanze, buona salute e sopravvivenza.
Per la realizzazione di questo spazio ci occorre innanzitutto la disponibilità di aveeve interessate al tema. Con loro si definiranno ulteriormente le possibili connotazioni di quest’idea e si elaborerà un progetto concreto.

 

In conclusione…

La giornata si chiude con un momento musicale di canti di donne della nostra regione raccolte e interpretate da Luisa Poggi e Aurelio Beretta della Vox Blenii che ci ricordano la forza e la ricchezza del canto per esprimere tanti temi inerenti all’essere donna!

Foto della giornata

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