Sintesi della 2a Tavola rotonda di AvaEva

Centro Giovani, Mendrisio – 29 aprile 2016

 

Introduzione

La coordinatrice di AvaEva Norma Bargetzi saluta le partecipanti e spiega lo svolgimento del pomeriggio. Quindi passa la parola ad Anita Testa-Mader per la presentazione del progetto di AvaEva “Incontri luganesi del lunedì” e dei quattro ateliers previsti per questo pomeriggio riservato alla discussione e all’approfondimento.

 

Il progetto Incontri luganesi del lunedì

Il progetto è nato dalla necessità di avere dei momenti d’incontro regolari durante i quali confrontarsi su vari argomenti. Le donne si sono sempre incontrate e hanno parlato tra loro, in piccoli e grandi gruppi, mentre erano occupate in attività manuali o sulle soglie di casa con le vicine, o davanti alle porte di asili e scuole, sulle panchine dei giardini dove i figli e le figlie giocavano, con le colleghe o amiche davanti a una tazza di caffe o in momenti più formali: associazioni femminili e femministe, gruppi di lettura e tante altre occasioni ancora.

Allora perché creare degli “incontri” nell’ambito dell’attività di AvaEva, a fianco di altri progetti molto diversificati? È utile ricordare la nascita e lo sviluppo di questi incontri, in corso dal mese di dicembre del 2014.

Già durante il primo convegno di AvaEva del 2013 (in particolare negli atelier) e in diverse occasioni nel corso del 2014, erano emersi spunti di riflessione e discussione su tematiche legate ai vari campi di interesse di AvaEva, che non era stato possibile approfondire per mancanza di tempo e spazi adatti.

E’ quindi scaturita l’idea di proporre anche nel luganese dei momenti di incontro mensili in un luogo fisso (generalmente il primo lunedì del mese presso la Scuola Club Migros di Lugano), con l’obiettivo di rispondere a un desiderio di continuità e riflettere collettivamente su temi decisi di volta in volta inerenti ad AvaEva (nonne e non nonne).

Per i contenuti, abbiamo cercato insieme un filo conduttore che desse un senso al percorso.

Da un progetto della Svizzera tedesca che si chiama “Neue Frauen-Alterskultur konkret” (Una nuova cultura della vecchiaia femminile), abbiamo ripreso in particolare l’idea di essere noi stesse a definirci, specificando quali sono i nostri temi, i nostri disagi e bisogni, le nostre speranze, aspettative e rivendicazioni. Quindi non si è trattato di fare delle sintesi di testi sociologici o di raccogliere opinioni di “esperte”, ma di costruire insieme un pensiero basato sulle esperienze di noi donne in età da nonne, un pensiero che esprima cosa è importante per noi stesse e per la società, e che vogliamo far conoscere e riconoscere (ossia dargli visibilità e valore).

Con questo spirito abbiamo voluto lasciare molto aperto lo scambio di idee ed esperienze sui vari temi, tuttavia con la volontà di lasciare una traccia del lavoro svolto, quindi con registrazione delle discussioni e raccolta del materiale (testi, mail, disegni, ecc.). Agli incontri, aperti a tutte e annunciati nella newsletter di AvaEva, hanno partecipato ogni volta una dozzina di donne e le discussioni sono state molto ricche e coinvolgenti per tutte.

Attualmente stiamo continuando a incontrarci discutendo di nuovi temi (ad esempio l’amicizia e le relazioni tra donne, i valori e la progettualità, mentre il prossimo sarà dedicato agli aspetti socioeconomici nella terza e quarta età), e nel frattempo stiamo elaborando una sintesi dei contenuti degli incontri che vogliamo cominciare a condividere oggi con voi e forse, più avanti, anche con donne di altre generazioni. Nel frattempo un gruppo si è dedicato alla creazione di un mandala su un grande tessuto. Lo vedete qui esposto e verrà offerto a un’associazione o ente che si occupa di diritti delle donne.

I temi trattati nel 2015 sono stati quelli di cui vogliamo parlare oggi, ossia: “appartenenza”, “competenze e autostima”, “corpo e salute”, “cura”. Ma prima di passare ai temi, ancora alcune riflessioni sul percorso fatto finora, che potrebbe essere utile anche per altri eventuali gruppi che volessero crearsi.

Innanzitutto va sottolineata l’evoluzione avvenuta all’interno del gruppo. Siamo partite come gruppo del tutto casuale, basato solo sull’interesse dimostrato da un certo numero di donne per un volantino presentato in occasione del convegno di AvaEva del 2014. Quindi, a parte alcune che già si conoscevano e si frequentavano, non un gruppo di amiche abituate da tempo a parlare tra loro anche di questioni personali, ma donne con storie, biografie, idee molto eterogenee. Alcune con percorsi segnati dalla partecipazione diretta ai movimenti femministi del dopo-68, altre invece con interessi spiccati per temi legati alla spiritualità e al rapporto con la natura. Alcune che vivono in coppia, altre da sole, alcune nonne più o meno impegnate con nipotini e nipotine, alcune ancora attive professionalmente, alcune cresciute e con una rete sociale in Ticino, altre provenienti dalla Svizzera tedesca. Questa eterogeneità poteva essere un ostacolo ma è stata soprattutto una ricchezza perché ci ha spinte ad ascoltarci a vicenda, senza dare nulla per scontato. Nello stesso tempo si è creato abbastanza in fretta un clima di fiducia reciproca che ha permesso, da un lato, di esporsi su temi anche molto personali e, dall’altro lato, di confrontarsi anche animatamente sugli obiettivi del gruppo.

La modalità di discussione, come già detto, è stata volutamente molto aperta per favorire lo scambio. E il ruolo della coordinatrice, sostenuta da alcune altre avaeve, è sempre stato chiaro: non proporre delle introduzioni tematiche teoriche e una scaletta di discussione rigida, ma animare gli incontri in modo non direttivo, pur rispettando alcune regole: ossia favorire la partecipazione di tutte, mantenere la continuità con l’invio di mail e scambio di materiale tra tutte fra un incontro e l’altro.

Un altro tema è stato quello del confine tra storie personali e aspetti più generali. Questa linea di confine è stata uno spartiacque fluido, in alcuni momenti e per alcune donne prevaleva il desiderio di raccontare le proprie esperienze, in altri momenti invece la volontà di rendere queste ultime più collettive e politiche, in senso ampio, dicendoci per esempio:

  • abbiamo passato anni a conquistare spazi; dobbiamo chiederci dove siamo arrivate
  • come avaeve che tipo di contributo possiamo dare?
  • vogliamo una testimonianza da dare alle nostre figlie e nipoti, alle generazioni più giovani

In questo senso si è posta la questione della valenza collettiva a cui il Movimento AvaEva (e la GrossmütterRevolution) attribuiscono valore, ossia il fatto che queste autodefinizioni di donne in età da nonne, nate dalle nostre esperienze personali e nel rispetto delle differenze biografiche, permettano anche ad altre donne di riconoscersi in alcuni aspetti.

 

Breve presentazione dei quattro atelier

È importante sottolineare che l’obiettivo non è di fare un riassunto di quello che abbiamo detto negli incontri luganesi, ma di mettere in circolo delle idee per approfondirle e arricchirle con le riflessioni che questi temi hanno stimolato in noi e stimolano in voi.

In particolare ci siamo accorte a posteriori che nel corso degli incontri li abbiamo, sì, affrontati sulla base delle nostre esperienze di vita, ma a volte focalizzando poco l’attenzione sulla situazione attuale, sui cambiamenti avvenuti, ossia su ciò che questi temi rappresentano per noi oggi, alla nostra età, nella nostra situazione familiare e sociale. Perciò è quello su cui vorremmo concentrare oggi l’attenzione, stimolando la discussione in questo senso su ciasun tema.

Gli atelier saranno animati dalle partecipanti agli Incontri del lunedì e i temi proposti sono:

  • Corpo e salute
  • Appartenenza
  • Cura
  • Autostima e competenze

A questo punto Anita Testa-Mader sollecita le avaeve presenti a scegliere l’atelier che le interessa maggiormente. Prima che si suddividano, la coordinatrice Norma Bargetzi chiede loro di condensare l’esito delle discussioni in 3 parole-chiave o concetti da condividere alla fine nel plenum.

 

Atelier: Corpo e salute

Corpo e albero

Il corpo può essere simbolicamente paragonato a un albero. Le sue radici affondano nel patrimonio genetico e nella genealogia, radici ricche di vissuti e memorie. Un albero carico di mele, ognuna col suo messaggio. Tuttavia non tutte le partecipanti concordano. Infatti ricordano che le radici sono piuttosto interne, si spostano, cambiano; e il radicamento non è statico. Trovare il senso delle radici corrisponde per talune all’andare via e incontrare altre persone e realtà; per talaltre le radici legate alla terra rappresentano un modo di essere. Comunque si conviene che ogni donna è un unicum, anche se con caratteristiche simili a quelle dei parenti.

L'immagine dell'albero è però suggestiva, segna i cambiamenti. Le trasformazioni del corpo fanno sì che col tempo le donne appaiano meno belle, meno attraenti che in gioventù, e ciò può rendere difficile accettare d'invecchiare, accettare un corpo che sembra "sgretolarsi". D’altro canto, la vecchiaia avvicina le donne che sono state belle a quelle che non lo erano.

 

La fatica di crescere

Diventare donna è un apprendistato continuo attraverso ogni fase della vita e non si conclude mai. Il corpo si trasforma, sottolinea ogni passaggio delle fasi di vita e ci chiama a integrarlo. "Succede che mi metto di fronte allo specchio, e anno dopo anno lo specchio mi riflette in modo diverso", dice una partecipante.

Il menarca è stato per molte partecipanti una sorpresa e uno choc. Non essendo informate, questo passaggio nella vita di donna ha creato ansia. L'informazione alle ragazze è dunque importantissima, ma lo è anche quella alle donne prima, durante e dopo la menopausa. Oggi fortunatamente il rapporto tra generazioni e tra partner è più facile: ci si parla, ci si spiega.

La menopausa sorprende molte donne, le quali non credono agli effetti sul corpo fino a quando si rendono conto di persona dei cambiamenti. Per molte altre può essere una festa, una liberazione.

A proposito dei due passaggi cruciali nella vita delle donne si sono condivise nel gruppo le riflessioni della poeta e scrittrice Maria Rosaria Valentini *):

 

Menarca

Le piastrelle del bagno erano bianche ed anonime, poste in fila l'una dietro l'altra, intervallate

solo dalle fughe grigie.

Un disgustoso odore di varechina vagava nell'aria stordendo il mio olfatto.

Ero magra, sottile come un fil di ferro e triste come un filo spinato.

Due piccoli seni immaturi mi imbronciavano lo stretto torace da bambina.

Raccogliendo le braccia intorno alla vita cercavo di contrastare un intenso dolore al ventre

mai conosciuto prima.

Appoggiata alla fredda parete vidi la sagoma del mio corpo riflessa nella porta di vetro

smerigliato e mi persi a fissare la chiave nella toppa.

D'un tratto avvertii un calore diffuso e tra le gambe vidi scivolare dapprima un muco marrone

e poi, all'interno delle cosce, scese il sangue rosso e denso.

                                                                                        © Maria Rosaria Valentini

 

Menopausa

Non scompare il sangue.

Si rifugia altrove per irrorare pensieri che dilatano nel tempo.

E scorre, scorre sempre, lungo percorsi che non hanno fine, ma che, certo, hanno una meta.

                                                                                       © Maria Rosaria Valentini

 

*) Le poesie di Maria Rosaria Valentini sono tratte da: Sequenza, Locarno, Tipografia-Offset Stazione, 2000. Nel volume le poesie sono affiancate dai disegni di Angela Lyn.

 

Corpo e identità femminile

Riconoscere le parti del corpo che ci rendono donna è un passo importante. Siamo donne con personalità diversificate, ma con tratti che segnano la nostra identità di genere. La percezione e la conoscenza e consapevolezza del corpo danno libertà. Libertà che alle partecipanti sembra un po' eccessiva nel modo di vestire di oggi, considerando le proposte veramente seducenti di abbigliamento per le bambine: le giudicano una sessualizzazione precoce che non rispetta l'infanzia e rafforza gli stereotipi di genere. Questa seduzione può essere pericolosa perché veicola un'idea di emancipazione, ovviamente falsa.

Allora come trasmettere alle giovani, a livello sociale, le esperienze delle avaeve, non per farne una copia ma perché possano fare le proprie scelte e il proprio percorso consapevolmente? Le partecipanti ribadiscono l'importanza dell'autodeterminazione delle donne e quindi il rispetto per le nuove generazioni, che comunque si vorrebbero informate. Fondamentale è parlare quindi con le figlie, i figli, le nipoti e i nipoti.

Ma importante è anche rispettare il corpo, le volontà, i desideri delle persone anziane, soprattutto nelle prestazioni di cura. Le partecipanti sentono con forza la volontà di battersi affinché le loro sensibilità, i loro desideri nell'essere accudite vengano rispettati. E pensano che occorra approfondire la questione per tramutarla in azione politica.

 

Potenzialità e limiti

Riconoscere le debolezze e accettarne i limiti è molto importante; come lo è la capacità di appoggiarsi al potenziale che ognuna sente in sé per trasformare un momento di fragilità in un'opportunità per nuove esperienze. Come avaeve le partecipanti percepiscono limiti fisici, di mobilità. Essi pesano e non è facile accettarli perché rappresentano uno scollamento rispetto al brio della mente, la voglia di fare, i progetti. Può creare ansia il dover fare i conti con un corpo che non risponde alle volontà. Ma le nuove fragilità possono far nascere altri progetti: le avaeve sono creative e sanno trovare soluzioni alternative. Saper adattarsi al cambiamento rappresenta un valore. Saper fare le cose con lentezza può essere una scelta, ma è anche l'accettazione di una caratteristica di questa fase della vita: il tempo, per le partecipanti, ha una dimensione nuova, tutta da cogliere.

Parole-chiave condivise nel plenum:

  • consapevolezza
  • adattamento
  • autodeterminazione

                      

Atelier: Appartenenza

Il gruppo discute anzitutto i significati della parola appartenenza ricorrendo all’aiuto delle definizioni fornite dal vocabolario. In generale per la donna “appartenenza” significa appartenere al genere femminile, a una famiglia, cultura, cerchia di amici, paese o luogo. Tuttavia, se l’appartenenza diventa fanatismo (p. es. in relazione alla religione), diventa anche qualcosa di negativo. L’appartenenza ha dunque diversi risvolti e significati individuali o “duali”, nel senso che una cosa mi appartiene e io appartengo a quella cosa. Per le partecipanti è importante anche appartenere a sé stesse e non solo essere “moglie di…” o “madre di…”.

Le partecipanti riflettono in seguito sui casi in cui sentono di appartenere. Questo sentimento si instaura laddove vi è condivisione, interesse per un’atmosfera, un luogo o territorio, una lingua (per alcune: il dialetto); dove si trova ascolto, sostegno, quando si prova empatia per qualcuno, ci si sente accolte. 

Quanto all’appartenenza al genere femminile di questa età: ebbene, nulla è ovvio, non ci sono modelli, o meglio, ci sono ma si devono cercare col lumino. E in generale le donne faticano sempre il doppio degli uomini. Inoltre non va sottovalutata anche la lotta estetica, che impone alle donne restare sempre belle e snelle.

Infine viene evocata anche l’appartenenza riguardo a piccole e grandi cose, l’importanza che possono avere: si pensi in primis alla salute e, su tutt’altro piano, p. es. un oggetto della quotidianità, magari banale e senza valore che qualcuna porta sempre con sé, un anellino dei propri genitori o altro.

Parole-chiave condivise nel plenum:

  • relazioni
  • empatia
  • condivisione

 

Atelier: Cura

Viene letto un breve testo dal quale emerge il valore relazionale della cura, della presenza e dell’empatia. Si ricercano quindi le associazioni fatte con la parola cura. E la scelta cade anzitutto su: pazienza, rispetto, empatia, condivisione, leggerezza, solidarietà, sensibilità, ascolto, corpo e mente, stimolare la vita, spiegare, relazione, apertura, incoraggiamento, ironia “creativa”, la cura è arte, la natura cura.

Poi si ricercano le proprie potenzialità creative già espresse in passato in contesti di cura, magari cercando una metafora che le rappresenti, usando i colori. Ecco alcuni esempi:

  • Essere il giullare che riporta l’armonia in famiglia anche quando c’è rabbia, fa divertire. Metafora: il colore blu della calma.

  • Riconoscere il proprio valore di ascoltatrice, saper partecipare al racconto, saper trovare le parole giuste quando qualcuno soffre, consolare, aiutare. Metafora: cerchi concentrici colorati, contenitori che trovano spazi più ampi, momenti di serenità e gioia nelle difficoltà.

  • Una partecipante si dice introversa, la sua metafora è l’ombrello; ha dipinto l’accoglienza in arancione, la sua potenzialità è dare protezione, il suo desiderio è creare un’apertura verso la leggerezza. Un atteggiamento giocoso curativo. Ama la poesia, dipinge, scrive, nell’arte trova sostegno. Un’altra metafora che dipinge è un orologio. Ci dice: è trovare il tempo, c’è un forte legame fra tempo e cura.  

  • Un’altra partecipante parla della pazienza necessaria con i malati curati in casa: il ruolo di badante crea sofferenza, impazienza. Deve far crescere l’amore per sé stessa, prendersi spazi. Disegna l’acqua come gocce e come flusso: metafora che purifica.

  • Un’altra si dice brava a stimolare le persone a fare cose nuove, ma le pesa curare malati. Quando sente le sue energie “schiacciate da chi chiede troppo” è presa da ansie, diventare badante la spaventa. Deve trovare nuove forze per rigenerarsi. Sceglie il colore rosa. Inoltre guardare il lago l’incita a portarsi a casa una bella immagine che l’aiuta ad addormentarsi.

  • Un’altra trae pure sostegno dall’immagine del lago. Ha disegnato un’onda, “un andare e venire”, in cui nulla è fermo, vi sono anche onde alte. Metafora dipinta: colore blu.

  • Una partecipante sottolinea l’importanza di creare “nuovi spazi di relazione”, di ascoltarsi e ascoltare. La dipendenza del compagno stimola l’attenzione, la capacità di concentrazione, fa riflettere sulla riduzione ma anche sull’intensificazione degli spazi. La metafora scelta è un insieme di piccoli quadrati uno dentro l’altro: nel centro sono concentrate le energie, lì sta la forza che permette di allargarsi nelle 4 direzioni. Sotto i quadrati concentrici dipinge le onde del mare, il flusso; sopra i quadrati un piccolo monte, la parte che conosciamo di noi stessi. Dice che “il flusso delle cose non perde mai l’orizzonte”: prima ascoltarsi e poi ascoltare gli altri, prendere il proprio spazio e capire i limiti dell’altro. La cura è un’arte, l’arte cura.

Una partecipante riporta il discorso sul tema del rigenerare le forze trovando sostegno nella natura. Altre sul tema dell’arte curativa e del tempo. Viene poi ribadito il valore del gioco, della gioia, e la necessità di avere cura dei ricordi. Si parla anche della fotografia: scattare un’immagine è un aiuto che stimola ricordi e nuovi punti di vista.  

Infine si condividono immagini della cura sognata o dei desideri di cura, forse difficili da realizzare, ma presenti nel nostro immaginario. Alcune partecipanti intervengono esprimendo il desiderio di trasgredire compiti, magari concedendosi qualche libertà o sfizio, oppure anche trasgredire sognando, anche se poi occorre fare i conti con la cattiva coscienza.

Parole-chiave condivise nel plenum:

  • attenzione
  • creare nuovi spazi di relazione
  • offrire e dare tempo

  

Atelier: Autostima e competenze                              

La discussione prende avvio dai fattori che influiscono sull’autostima: esperienze fatte, lotte combattute, libertà di decidere e disporre del proprio tempo, sicurezza interiore, possibilità di prendersi cura di sé, riconoscimento dimostratoci dagli altri.

L'autostima è un gioco di equilibri, aumenta e diminuisce in momenti diversi della vita per periodi più o meno lunghi. Può autoalimentarsi, ma viene certificata e aumenta soprattutto grazie a conferme, riconoscimenti, valorizzazione esterna.

L’autostima è anche soggetta a variazioni dovute alle circostanze della vita (p. es. pensionamento). Si sente che cala anche quando si è troppo critiche verso di sé o si viene umiliate. Molte donne della nostra età sono state umiliate da bambine e hanno un’autostima labile. In passato si poteva essere considerate “zitelle fallite” qualora si valeva solo in funzione del principe. 

Allora che fare affinché alle giovani oggi non occorrano 50 anni per conquistare l’autostima? Bisogna incoraggiarle, dir loro “sei o sarai capace!”. La bambina ha diritto di amarsi.

La discussione si sposta in seguito sulle competenze, che con l’autostima sono interrelate, considerandole alla luce di quanto esige oggi la società e della velocità dei cambiamenti. Le persone si sentono infatti facilmente inadeguate o poco competenti. Così le partecipanti si interrogano sulle risorse che permettono loro di proseguire il percorso in maniera positiva. E ritengono di aver sicuramente raggiunto la consapevolezza di saper far bene le cose, di necessitare meno del riconoscimento altrui. Però constatano anche nuovi limiti: una certa pigrizia, una certa lentezza; la smemoratezza e altri processi fisiologici che inducono ansia ma vanno accettati; hanno paura della dipendenza, della perdita di autonomia; hanno paura della morte. E per le donne sposate ricordano il rischio della depressione al momento del pensionamento del marito; prima attive, sicure, organizzate; in seguito manca loro il terreno sotto i piedi.

L'autostima ha molti nemici: denigrazione, frustrazione, incapacità, confronto, paragone, competizione. Leggendo insieme un articolo, le partecipanti scoprono così che anche le scienziate hanno problemi di autostima, sia per un mondo accademico in cui prevalgono criteri maschili, sia per l’insicurezza che affligge molte di loro come tante altre donne. A questo proposito le partecipanti pensano che non tutto dipenda da loro, che non si possa essere l'unica causa dei problemi. E non bisogna pensare di essere sempre perfette: nella vita nulla è perfetto. Quanto agli errori del passato, occorre saper perdonarsi, riconoscendo l’errore fatto. Volendo controllare tutto si perde sé stesse. Accettare un po’ di vulnerabilità aiuta. Inoltre occorre saper osare e saper usare le risorse disponibili credendo nel cambiamento. Bisogna avere coraggio, saper mettersi in discussione, darsi obiettivi realistici.

Infine cosa vorrebbe ancora cambiare ognuna delle partecipanti riguardo ad autostima e competenze? Ecco alcuni esempi: lavorare su me stessa, senza lasciarmi più condizionare da altri; vivere coscientemente le cose belle e brutte; ogni giorno far tesoro di qualcosa; essere apprezzata anche solo per una frase che dico, anche se imperfetta; sentirmi ricercata dalle amiche, ma anche non sentirmi abbandonata quando sono a casa da sola e nessuno mi cerca. E quanto alle competenze: imparare l’inglese; imparare a suonare la chitarra; fare un viaggio e saper partire da sola.

Parole-chiave condivise nel plenum:

  • conquista: nessuno ti regala l’autostima, la devi conquistare.
  • realismo: aver obiettivi realistici nella vita (alla nostra età più che mai), obiettivi raggiungibili.
  • consapevolezza di sé: dipendere meno dal giudizio altrui; star bene con sé stesse.