Autodeterminazione e dipendenza

Sintesi (Versione italiana)

L’età avanzata e le aspettative delle donne

Elisabeth Ryter e Marie-Louise Barben
Berna 2018
Edito da
Gruppo del Manifesto della GrossmütterRevolution

Impressum

Sintesi e incentivo all’organizzazione di gruppi di discussione

Autodeterminazione e dipendenza

L’età avanzata e le aspettative delle donne
(Versione italiana: Monica Gambetta)

Edito da: Gruppo del Manifesto della GrossmütterRevolution
La GrossmütterRevolution è una piattaforma e un think tank per le donne dell’odierna generazione di nonne.

Un progetto del Percento culturale Migros.
www.grossmuetter.ch, www.percento-culturale-migros.ch

Il presente opuscolo è basato sul rapporto (in tedesco):

Elisabeth Ryter, Marie-Louise Barben (2018):
Selbstbestimmung und Abhängigkeit
Erwartungen von Frauen an das hohe Alter

Il rapporto integrale e la sintesi (in tedesco) possono essere scaricati dal sito www.grossmuetter.ch,
o ordinati presso

GrossmütterRevolution
Anette Stade Güterstrasse 141
4053 Basel
+41 61 361 46 46

La sintesi in italiano può essere scaricata dal sito www.avaeva.ch
o ordinata presso

Movimento AvaEva
Valentina Pallucca Forte, coordinatrice
Via Al Moretto 4 6924 Sorengo +41 76 679 07 78
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L’età avanzata – un impegno continuo della GrossmütterRevolution

L’età avanzata e l’invecchiamento sempre più marcato di una porzione importante della popolazione sono dati di fatto. Se ne parla in riferimento ai costi (in aumento), ai posti (insufficienti) nelle case per anziani, alla (incombente) carenza di manodopera qualificata negli istituti di cura o agli (imminenti) oggetti intelligenti che in futuro dovranno essere di ausilio alle persone anziane, ma ben di rado si chiede che cosa ne pensano i diretti interessati.

Negli ultimi anni, il Gruppo del Manifesto della GrossmütterRevolution ha pubblicato tre rapporti sul tema dell’età avanzata:

  • Das vierte Lebensalter ist weiblich. Zahlen, Fakten und Überlegungen zur Lebensqualität im hohen Alter, 2012 (La quarta età è donna. Cifre, fatti e riflessioni sulla qualità di vita in età avanzata. Versione abbreviata con rivendicazioni, 2012);
  • Care-Arbeit unter Druck. Ein gutes Leben für Hochaltrige braucht Raum, 2015 (Assistenza sotto pressione. Per una buona vita nella terza e quarta età. Sintesi e raccomandazioni, 2015);
  • Selbstbestimmung und Abhängigkeit. Erwartungen von Frauen an das hohe Alter, 2018.

Quello che le donne desiderano

L’ultima fase della vita è chiamata anche quarta età. Ha inizio nel momento in cui, a causa di limitazioni fisiche o mentali, gestire la quotidianità senza aiuti esterni diventa, totalmente o in parte, impossibile. L’età avanzata è altresì un universo femminile: con l’aumentare dell’età cresce la percentuale di donne rispetto agli uomini, e pure i professionisti, i volontari e i familiari curanti attivi in quest’ambito sono per circa l’80 per cento donne. Alla luce di questo contesto, il Gruppo del Manifesto ha così deciso di interpellare solo donne per il suo progetto. Nel corso del 2018, si sono 4 tenuti nove gruppi di discussione (focus group) della durata di tre ore composti di sei-otto donne di età compresa tra 55 e 75 anni (in totale 68 donne), a cui sono state poste domande sulle loro idee e sui loro desideri in riferimento all’ultima fase della vita.

Il rapporto integrale Selbstbestimmung und Abhängigkeit (solo in tedesco, circa 80 pagine), scaricabile e ordinabile agli indirizzi indicati nell’impressum, riporta nel dettaglio gli interventi delle partecipanti e contiene molte informazioni di base su tutti i temi affrontati.

Autonomia e integrità

Autonomia, se possibile fino alla fine dei propri giorni. Questo desiderio è il filo rosso che unisce tutte le discussioni incentrate sull’età avanzata. Autonomia nel senso di autodeterminazione quale pretesa nei confronti di sé stessi, ma anche quale richiesta della società a ognuno di noi. L’autonomia totale è però un’illusione, considerato che per l’intera esistenza dipendiamo da qualcuno che si prende cura di noi (mamme, papà, compagni di vita, amiche/amici, familiari, personale di cura) e da oggetti indispensabili per la nostra vita quotidiana e professionale (ad esempio computer, telefonino, lavatrice).

A questo concetto assoluto di autonomia contrapponiamo, rifacendoci alle considerazioni della filosofa e psicoterapeuta Lisa Schmuckli, la nozione di integrità nei rapporti di dipendenza, espressione con la quale essa intende «un senso soggettivo di sé e della comprensione di sé, un’idea di integrità nella consapevolezza di poter essere feriti». L’autonomia e l’autodeterminazione non sono quindi gli obiettivi primari. Si tratta piuttosto dell’essere e rimanere integri nella propria percezione e in quella degli altri.1

1 Schmuckli, Lisa (2016). Autonomie im Alter – abhängige Unabhängigkeit. Interventi tenuti il 14 aprile 2016 in occasione del convegno primaverile della GrossmütterRevolution e il 2 settembre 2016 durante il RegioForum della GrossmütterRevolution a Berna. (https://www.grossmuetter.ch/arbeitsgruppen/arbeitsgruppe-integritaet/impulsreferate-lisa-schmuckli)

Esiti scaturiti dalle discussioni di gruppo

Esperienza con l’età avanzata Le idee sull’età avanzata si fondano pure sul proprio vissuto. Tranne poche eccezioni, tutte le partecipanti alle discussioni di gruppo avevano esperienza di assistenza e sostegno a loro congiunti anziani, nella maggior parte dei casi ai genitori, più di frequente alla mamma. Di loro, soltanto una minoranza si occupava anche della cura (del corpo) vera e propria, un aspetto in genere affidato ai servizi Spitex. Le prestazioni fornite dai familiari erano di aiuto nell’organizzazione della quotidianità (fare la spesa, cucinare, accompagnare, occuparsi di questioni amministrative ecc.) e di natura sociale (visite, consigli, presenza).
L’accompagnamento, intensivo e spesso protratto sull’arco di più anni, all’inizio prestato a domicilio e successivamente per lo più in una casa di cura, era talvolta contraddistinto da sentimenti ambivalenti e situazioni difficili: ad esempio quando si trattava di prendere decisioni che andavano contro il volere dei genitori o quando i ruoli di figlia, nonna, mamma o donna professionalmente attiva entravano in conflitto.
Tutto sommato, però, l’assistenza interfamiliare funziona. Seppure non ci si senta tenuti ad accogliere e curare in casa propria i genitori o il genitore superstite, nella misura permessa dalla propria situazione prestare sostegno e aiuto è considerato un gesto scontato.

Tre scenari

Per ricevere risposte il più autentiche possibile in merito ai temi più importanti, abbiamo lavorato con degli scenari: abbiamo posto le partecipanti ai gruppi di discussione di fronte a una situazione e le abbiamo invitate a reagire.
Le donne sono state così costrette a riflettere anche su situazioni che sperano non si verifichino mai.

1 Abitare

Scenario 1

Le partecipanti sono state invitate a ripensare la loro situazione abitativa in seguito a questioni di forza maggiore, come la ristrutturazione totale dell’appartamento in cui vivono. Quali sono i loro desideri in un caso del genere?

I desideri delle partecipanti sono incentrati sul rimanere il più a lungo possibile nel proprio appartamento, nella propria casa, nel proprio quartiere o nel proprio Comune, perché conoscono bene i negozi e le linee dei mezzi pubblici, e hanno rapporti cordiali con i vicini. Poter rimanere nell’ambiente conosciuto compensa anche gli attuali svantaggi, come l’abitazione in realtà troppo grande, non adeguata alle esigenze di una persona anziana, troppo costosa o troppo impegnativa da tenere in ordine. Numerose interpellate hanno già cambiato la loro situazione abitativa pensando al futuro o perché obbligate, ne sono soddisfatte e possono fungere da esempio per quelle che sono ancora alla ricerca di una soluzione.
Per quanto riguarda i desideri legati all’abitazione, si delineano le seguenti tendenze: un appartamento più piccolo, allestito a misura della persona anziana, ubicato in un quartiere vivace con buone offerte di assistenza oppure in una comunità residenziale, di preferenza intergenerazionale, se possibile con servizi di cura e assistenza nelle immediate vicinanze. Il ricovero in un istituto non è ancora di attualità per la maggior parte delle interpellate. Un centro o una casa per anziani sono tuttavia considerati una soluzione valida per l’ultima tappa della vita. L’elevata importanza ascritta dalle persone anziane al quartiere o al Comune favorisce l’istituzione delle caring communities (comunità assistenziali) che si stanno sviluppando in molti luoghi in Svizzera.
Si tratta di progetti che pongono in primo piano l’aiuto tra vicini e l’impegno della società civile.

2 Assistenza e cura

Scenario 2

Le partecipanti sono state poste di fronte a questa situazione: dopo una seconda caduta, il conseguente ricovero in ospedale e poi in una struttura di riabilitazione, è diventato impossibile gestire la quotidianità senza aiuto. Le partecipanti optano per un aiuto a domicilio o prendono in considerazione il ricovero in istituto? Che cosa desiderano?

Le partecipanti ai gruppi di discussione fanno un distinguo tra cura e assistenza pure quando si tratta delle proprie esigenze, esattamente come hanno già fatto riferendosi ai familiari anziani. Per la cura ci sono i servizi Spitex. Ma per tutto il resto? L’elenco di ciò che l’assistenza, l’accompagnamento, il sostegno e l’aiuto – termini che sovente vengono utilizzati come sinonimi – includono è interminabile: lavori in casa e in giardino, accompagnamento e sostegno per la spesa e per i contatti con autorità, medici e consultori, disbrigo di faccende amministrative, contatti sociali, ascolto, domande, promemoria, essere presenti, lettura ad alta voce ecc. Solo alle specialiste tra loro è noto che le prestazioni di cura sono definite in modo esaustivo e disciplinate dalla legge, e che solo queste sono rimborsate dalle casse malati. Anche alle succitate condizioni, coloro che ambiscono a rimanere a casa nonostante notevoli limitazioni sono in chiara maggioranza. Il loro desiderio è di poter usufruire il più a lungo possibile di un sostegno professionale ambulatoriale. Con questo, le più si riferiscono verosimilmente a servizi Spitex pubblici o di utilità pubblica, dato che solo di tanto in tanto vengono citate altre forme di sostegno. Sui motivi per cui preferiscano esplicitamente non essere curate dai familiari si può solo speculare: un carico troppo pesante, un impegno sproporzionato, una vicinanza eccessiva, mancanza di competenze? Familiari e amiche/amici hanno tuttavia un ruolo ben preciso: sono importanti per i contatti sociali. Quando si tratta però di prestazioni di assistenza concrete, come quelle menzionate, praticamente non vengono mai citati. Qui rimane un vuoto. Le interpellate desiderano che i contatti sociali siano un dare e ricevere volontario e vicendevole tra pari.

3 Demenza

Scenario 3

Le partecipanti sono state poste di fronte alla situazione seguente: il loro stato di salute è gradualmente peggiorato e sono comparsi nuovi sintomi (difficoltà di concentrazione, smemoratezza, problemi a esprimersi). Il medico di famiglia constata una demenza destinata a peggiorare. La capacità decisionale è limitata.

Anche in una situazione del genere le partecipanti ai gruppi di discussione vogliono continuare a dire la loro, coscienti che ciò significa adottare con sufficiente anticipo i provvedimenti del caso. I familiari o altre persone di riferimento devono essere a conoscenza dei loro desideri. Possibili persone di fiducia sono figli o parenti stretti. Per chi non ha figli, la questione è più difficile. La demenza/l’Alzheimer fa paura. A quel punto, la maggior parte delle partecipanti vede come unica soluzione idonea la casa di cura. Le partecipanti vorrebbero continuare a essere percepite come individui ben distinti e trattate con rispetto. Se necessario, le persone di fiducia devono difendere la loro dignità, assicurandosi pure che abbiano un aspetto curato.
Senza che il tema fosse stato sollevato direttamente, si è altresì parlato della morte autodeterminata e quindi del suicidio assistito.

Provvedere per tempo

Alla domanda su che cosa sia in realtà pianificabile, una partecipante ha risposto che in fondo nulla lo è, ma ciò non significa che non bisogna fare piani, trovando così una formulazione probabilmente condivisa dalla maggior parte delle interpellate. Pianificare significa anche assicurare il più a lungo possibile la propria autodeterminazione. In questo contesto, sono emersi chiaramente due aspetti: gli strumenti giuridici e il ruolo dei familiari.

Il testamento biologico è uno strumento di autodeterminazione volto a garantire l’espressione del proprio volere pure in situazioni in cui non si è (più) in grado di agire e/o decidere. È tuttavia un dato di fatto che tali testamenti spesso non sono compilati in misura sufficiente oppure non contengono istruzioni su come procedere in determinate situazioni. È in ogni caso importante consultare uno specialista e di tanto in tanto verificare l’attualità delle proprie disposizioni.
Al momento, è un altro lo strumento assurto al centro dell’attenzione: la pianificazione sanitaria anticipata (Advance Care Planning).
Tra le novità che comporta figura il fatto che deve essere imperativamente elaborata d’intesa con specialisti e familiari, e che le istruzioni che contiene designano l’obiettivo desiderato di un trattamento, obiettivo che a sua volta funge da base per i provvedimenti da adottare.

Un altro strumento di pianificazione rilevante è il mandato precauzionale, il quale subentra quando una persona non è più capace di discernimento. Da un lato definisce chi si deve occupare dei provvedimenti medici e delle loro conseguenze (cura della persona), dall’altro a chi compete la gestione delle questioni di diritto patrimoniale e finanziarie (cura degli interessi patrimoniali).

Per tutti gli strumenti è fondamentale parlarne chiaramente in seno alla famiglia o con amici, conoscenti e coloro che entrano in considerazione come mandatari, sebbene non sia facilissimo. Sono tuttavia tasselli fondamentali per far sì che un giorno la propria volontà sia effettivamente rispettata.

L’ultima fase della vita

I desideri espressi dalle partecipanti pensando all’ultima fase della vita non divergono tanto per i contenuti quanto per l’intensità da quelli espressi in relazione all’abitare, alle cure o all’assistenza. Alla domanda su quello a cui non vorrebbero mai rinunciare hanno infatti dato due risposte: da un lato alle cose quotidiane che rendono la vita degna di essere vissuta (la musica, i libri o la mobilità, anche assistita, affinché resti possibile incontrare 10 persone o stare in mezzo alla natura) e dall’altro ai contatti sociali, alla tutela della dignità e all’autodeterminazione.
Pure da anziane con limitazioni fisiche, magari anche mentali dovute alla demenza, vogliono essere considerate individui con le proprie peculiarità, curare contatti alla pari, se possibile prendere decisioni o partecipare al processo decisionale, nonché evitare di venire trascurate fisicamente ed emotivamente.
Essere considerate soltanto un peso e apparire agli occhi della società esclusivamente come fattore di costo sono ulteriori timori espressi. Altre sono però fiduciose e confidano di beneficiare di una rete di sostegno – privata e sociale.

Trasmettere l’idea delle discussioni di gruppo

Per la GrossmütterRevolution è molto importante che tali discussioni di gruppo vengano organizzate anche oltre il presente progetto, perché a suo parere lo scambio di esperienze, interrogativi e timori in vista dell’età avanzata fornisce un contributo rilevante affinché questa fase della vita e le esigenze a essa connesse vengano percepite in modo maggiormente differenziato – sul piano strettamente individuale, in seno alla famiglia e nel dibattito sociale.
Per questa ragione, la GrossmütterRevolution da un lato sonderà altre possibilità di offrire simili occasioni e dall’altro sosterrà donne e uomini desiderosi di organizzare gruppi di discussione del genere.

Vi piacerebbe partecipare a una tale discussione di gruppo? Volete organizzarne una?

Ecco di seguito alcune indicazioni e un suggerimento.

Obiettivo delle discussioni

Autodeterminazione e dipendenza sono temi che acquistano importanza con l’avanzare dell’età fino a diventare determinanti. Parlarne può servire a riflettere su come desideriamo sia l’ultima fase della vita e quali siano i limiti della pianificabilità.
In piccoli gruppi composti di persone con interrogativi simili o identici e in un contesto protetto è possibile dar voce anche a preoccupazioni e paure. Possiamo inoltre imparare gli uni dagli altri: che cosa hanno già fatto altri? Come posso affrontare un determinato problema? Dove trovo consigli e sostegno? Come affronto questi discorsi con la mia famiglia?

Temi, domande, scenari

  • Per il nostro progetto, ci siamo orientate alle seguenti domande principali.
  • Esperienze e conoscenze: quali esperienze con l’accompagnamento di persone nell’ultima fase della vita e quali conoscenze sulle offerte di sostegno hanno le partecipanti?
  • Abitare: trasloco in vista! Come e dove vorrebbero vivere le partecipanti nell’ultima fase della vita?
  • Cura e assistenza: da chi desiderano ricevere aiuto, sostegno, accompagnamento e cure quando non saranno più in grado di gestire autonomamente la quotidianità?
  • Capacità decisionale/demenza: quali timori e paure scatena la demenza nelle partecipanti? Come e da chi vorrebbero essere curate, assistite e accompagnate dovesse insorgere una tale malattia?
  • Pianificazione tempestiva: che cosa possono fare le partecipanti oggi affinché domani i loro desideri siano rispettati? Quali sono i limiti della pianificabilità?

Naturalmente sono possibili altri argomenti chiave e priorità.

Esempio di scenario incentrato sul tema della cura e dell’assistenza

Senza aiuto non ce la faccio più

Immaginate lo scenario seguente: A casa (vecchia o nuova) inciampate nel bordo di un tappeto e cadete così malamente da rompervi l’anca. Finite in ospedale, dove vi operano. Dopo l’ospedale, andate per due settimane in riabilitazione con fisioterapia, accompagnamento medico e pensione completa. Di nuovo a casa, tutto (i lavori domestici, la spesa, i contatti sociali) vi costa molta più fatica ed è più impegnativo di prima.
Vi sentite meno sicuri e nemmeno la memoria è quella di una volta. Alla fine, succede quel che doveva succedere: cadete di nuovo e finite un’altra volta in ospedale. E dopo questo secondo ricovero?

Siete ancora in pieno possesso della vostra capacità decisionale, ma vi accorgete che senza l’aiuto di qualcuno, è difficile – o impossibile? – continuare a vivere a casa. E ora?

Organizzazione

  • Gruppo di discussione: discussione su un argomento specifico con un dato numero di partecipanti condotta da una moderatrice sulla base di linee guida con domande aperte. Familiarità ed estraneità hanno lo stesso peso: nel gruppo dovrebbe instaurarsi un’atmosfera di fiducia, ma un’eccessiva familiarità tra i partecipanti può tuttavia essere controproducente. È auspicabile che tra i partecipanti nasca una discussione. I gruppi di discussione possono far emergere relativamente in fretta un’ampia gamma di opinioni, anche controverse.
  • Gruppo mirato: in linea di principio persone tra i 60 e i 75 anni. È importante che il gruppo sia ben assortito. Si raccomanda di evitare un’eccessiva eterogeneità.
  • Dimensioni del gruppo: tra sei e nove persone. In un gruppo molto piccolo non si sviluppa un dinamismo sufficiente, in un gruppo troppo grande non tutti riescono a esprimersi a sufficienza.
  • Durata della discussione di gruppo: due-tre ore secondo il catalogo di domande. Tre ore (inclusa una pausa) sono il limite massimo per i partecipanti più anziani. È essenziale rispettare il limite di tempo dato.
  • Conduzione/moderazione: deve essere leggera ma decisa affinché effettivamente si discuta delle domande centrali. Una conduzione a due è utile per riuscire ad attenersi ai temi e rispettare i tempi.
  • Confidenzialità: è fondamentale. Quello che viene detto nel gruppo resta nel gruppo.
  • Giro di presentazioni: da fare brevemente prima di affrontare i temi previsti.
  • Riscontri al termine: in che misura la discussione è stata utile? Che cosa è mancato?
  • Se sono previsti più gruppi, può eventualmente valere la pena svolgere dapprima la discussione con un gruppo pilota e raccoglierne i riscontri.

Sostegno

La GrossmütterRevolution è volentieri a disposizione per quanto segue:

  • ricerca di persone desiderose di partecipare a un gruppo di discussione;
  • ricerca di gruppi di discussione per persone che vorrebbero parteciparvi;
  • consigli e consulenza sullo svolgimento;
  • ordinazione di documentazione (rapporto e sintesi in tedesco)

Contatto: Anette Stade
Capoprogetto GrossmütterRevolution Güterstrasse
141, 4053 Basilea
+41 61 361 46 46
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Il Movimento AvaEva è volentieri a disposizione per quanto segue:

  • ricerca di persone desiderose di partecipare a un gruppo di discussione;
  • ordinazione della sintesi in italiano

Contatto: Valentina Pallucca Forte
Coordinatrice Associazione Movimento AvaEva
Via al Moretto 4, 6924 Sorengo
Tel +41 76 679 07 78
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Autodeterminazione e dipendenza

Dove passerò la mia vecchiaia?

A quali condizioni invecchierò?

Come deve essere la mia ultima fase della vita perché possa sentirmi bene?

Prima o poi queste domande si pongono a tutti. La presentazione mira a sollevare una riflessione sul significato della qualità della vita durante il processo di invecchiamento. Benché i percorsi di vita siano molto differenti fra gli individui, con profili di fragilità e dipendenza molto variabili, domina in generale l’affermazione di aspetti esistenziali: il desiderio di padroneggiare le scelte e le decisioni riguardanti la propria vita (autodeterminazione), il bisogno di riconoscersi fedeli a sé stessi nel corso della propria storia biografica (sentimento di coerenza identitaria) e il desiderio di essere percepiti dagli altri come delle persone degne di rispetto e competenti (senso di autoefficacia e dignità).

La presentazione si baserà su risultati di ricerche presso anziani che vivono soli a casa, effettuate dalla oratrice in collaborazione con ricercatori del laboratorio di insegnamento e di ricercha “Vieillissement et Santé” della Alta Scuola della Salute La Source a Losanna, come pure su recenti lavori concernenti l’abitare in alloggi alternativi alle case per anziani.

Maria Grazia Bedin Professoressa associata HES-SO, Istituto e Alta Scuola della Salute La Source, Losanna

Artiste - La maturità coincide con la creatività?

Patrizia Cattaneo Moresi

Artiste – La maturità coincide con la creatività?


L’anzianità è una fase della vita umana particolarmente sensibile, caratterizzata da dinamiche di mutamento fisiche, psicologiche, finanziarie, sociali, identitarie delicate, soprattutto per quanto riguarda l’universo femminile. Le differenze tra uomini e donne sono considerevoli, purtroppo sia durante tutto il corso della vita adulta, sia nella terza e quarta età1: generalmente le donne over 65, e soprattutto over 80, vivono più a lungo degli uomini, in gran parte sole e mediamente trascorrono più tempo nelle residenze. Di pari passo ai cambiamenti che gli anziani sono costretti a subire, come i limiti fisici, mentali, psicologici, economici che potrebbero compromettere autonomia e autodeterminazione dell’individuo, sopraggiungono delle necessità che diventano imprescindibili in epoca contemporanea. Il bisogno di aggregazione, di riconoscimento sociale, l’essere attivi nella propria comunità, l’abitudine all’impegno quotidiano, lo sviluppo delle proprie passioni, sono punti fondamentali della vita, ancora di più in età inoltrata.

Ai giorni nostri, fortunatamente, la figura della donna, i suoi compiti e i suoi bisogni sono cambiati rispetto alle generazioni precedenti. La nostra società, per secoli, ha mantenuto un’impostazione ideologica matriarcale ma maschilista, confinando la donna in determinate categorie; essa, nella maggior parte dei casi, ha sempre avuto un’importanza circoscritta all’ambiente familiare, attraverso il mantenimento e la gestione della casa, la crescita e l’educazione dei figli, il compito di tramandare usi e costumi della società e dei nuclei minori, l’appoggio fisico e psicologico dato ai propri cari: la colonna portante, il sostegno primario della famiglia. Negli ultimi decenni, invece, la figura femminile ha vissuto una rapida emancipazione in ambiti lavorativi e sociali, dando finalmente alla donna nuovi diritti e possibilità – almeno a livello ideologico, in quanto sappiamo che nella realtà dei fatti questo processo è ancora in atto, a volte in modo difficoltoso, e solo in determinate società. La donna, tuttavia, non ha mai realmente abbandonato la condizione di relegazione domestica e familiare, ma ad essa ne ha accostata una nuova: la possibilità della carriera, dell’affermazione individuale e comunitaria indipendentemente dalla creazione di una famiglia e dalla procreazione dei figli.

Nel mondo dell’arte, l’emancipazione femminile è stata fondamentale. Le donne si sono dimostrate, al pari degli uomini, interpreti e mediatrici dei bisogni, dei sentimenti e delle pulsioni degli esseri umani. I temi della sessualità, del corpo, del sentire, dell’affermazione identitaria, del riconoscimento sociale, delle origini e dell’ereditarietà, molto cari al XX e al XXI secolo, legano a doppio filo la condizione di genere e di età e l’espressione artistica. L’arte e il fare arte sono necessità inesauribili per tutto l’arco della vita, ma durante la terza età, quando occupazioni e impegni quotidiani vengono meno, possono diventare bisogni sostanziali. L’anzianità vanta una distensione riguardo le strutture, i rapporti e le convenzioni sociali, a volte estremamente macchinosi e contorti, e questo rende l’individuo più libero di esprimersi nei confronti della propria vita e degli altri.
La donna possiede una capacità creatrice, utile al processo artistico, a cui l’uomo non può aspirare. Non si sta parlando della necessità o della realizzazione personale della donna nel diventare madre obbligatoriamente: spesso quest’obbligo è imposto dalla società, dai maschilismi ancora in atto nella mentalità moderna. Si sta parlando della possibilità fisica della donna di creare: il corpo femminile è predisposto a questa azione, alla trasformazione, all’accoglienza, alla crescita, alla cura, indipendentemente dalla fertilità o dai desideri materni. Questa capacità femminile è l’esemplificazione del fare artistico2.
Anche durante l’anzianità il concetto di corpo e di rapporto con esso è importante e attuale, e, ancora una volta, soprattutto per il genere femminile: la donna ha già adempito al ruolo di madre, o non è più obbligata a farlo, e le riflessioni sul suo corpo vertono quindi su temi completamente differenti, privati, intimi. I segni del tempo, i cambiamenti imposti dall’invecchiamento, la riscoperta di se stesse e della sessualità, i nuovi modi dell’uso del corpo.
Per questi motivi, le donne attive artisticamente in età inoltrata ricoprono un ruolo sociale e culturale di rilevanza. Non solo le ricerche si rinnovano, trovando nuovi obiettivi e nuovi temi da trattare in fronte ai cambiamenti vissuti e subiti, ma è il concetto di processualità dell’arte il vero punto saliente, e, soprattutto, ciò non riguarda solo gli artisti, ma tutti i tipi di individui e, cosa ancora più importante, anche le persone soggette a patologie, malattie e difficoltà fisiche e psicologiche che possono subentrare con l’avanzare dell’età.
È comprovato che i processi artistici, come quello pittorico, scultoreo o ceramico, siano valide attività non solo ricreative, di svago, o di creazione ed espressione a livello personale, ma siano  estremamente terapeutiche. Ad esempio, come riportato dal documentario I Remember Better When I Paint di Eric Ellena e Berna Huebner3 e supportato da uno studio del 20164, i soggetti anziani affetti da Alzheimer riuscirebbero a preservare la capacità di dipingere nonostante la malattia, e che l’azione creativa sia calmante e benefica; durante l’anno corrente una pubblicazione del International Journal of Geriatric Psychiatry ha dichiarato che “il dipingere, e in generale i processi artistici, aumentino le funzioni cognitive, le capacità quotidiane e che migliorino i comportamenti e i sintomi psicologici degli anziani affetti da demenza”5. In Gran Bretagna sono già presenti numerosi workshop e attività promossi da musei, associazioni e gallerie che utilizzano l’arte, la sua osservazione e l’azione pittorica in modo terapeutico.

“You bring a person who is suffering perhaps from Alzheimer’s, you put them in front of a painting, somehow the painting says something to them. Somehow they begin to have a dialogue with the picture.”6

La dimensione fisica, materica del creare porta in sé qualcosa di primitivo e istintivo che cattura l’uomo, e in particolare l’artista, da sempre. Per questo, anche la ceramica è ritenuta un’attività affascinante e altamente terapeutica, grazie alla sua natura manuale e spontanea. Lo psicoterapeuta Joshua K.M. Nan ha condotto uno studio nel 2016, affiancato da Rainbow T. H. Ho, professore dell’Università di Hong Kong, pubblicato sul Journal of Affective Disorders nell’aprile 2017 riguardo l’utilizzo della lavorazione dell’argilla e della ceramica come terapia negli adulti affetti da depressione.7 Anche in questo caso, è stato provato che l’attività prolungata sia utile a ridurre le problematiche giornaliere dei pazienti, apportando miglioramenti nelle attività quotidiane, generando emozioni, stati d’animo e ricordi positivi:

"The experience of witnessing how clay transcends into a beautifully glazed ceramic art piece after firing is parallel to the transformative process of discovering an artist’s identity after carrying a
stigma of mental illness.”

La terza età è considerata l’età della saggezza, delle conoscenze solide: in realtà non è altro che una delle fasi della vita, e come tale possiede le sue certezze e i suoi dubbi, le sue insicurezze e le sue problematiche; esse vanno trattate e affrontate, e l’arte è uno dei mezzi che gli esseri umani hanno a disposizione. La ricerca artistica è infinita e adattabile a tutti i tipi di individui, di qualsiasi estrazione sociale e provenienza geografica, e risponde a molteplici bisogni.
Il lascito e l’educazione sono sicuramente due componenti rilevanti. Giunte alla fase finale della propria vita, le artiste si pongono spesso nella condizione di insegnare, di lasciare delle conoscenze scoperte e custodite, e questo impone loro un lavoro incessante e una continua riscoperta dei codici e dei propri rapporti con la società. Il linguaggio e i temi devono adattarsi ai tempi e alle nuove convenzioni, rinnovando anche i concetti di ereditarietà, del tramandare alle generazioni successive le tradizioni, le storie, le liturgie, il costruire, il creare. In particolare, questo sembra un compito molto sentito dalle donne, che si pongono come maestre, madri protettive nei confronti delle giovani personalità.
Parallelamente, la ricerca individuale è un elemento da cui l’artista non può prescindere: non parla soltanto del mondo, dell’ambiente e delle persone che la circondano, ma soprattutto di se stessa e della sua mediazione dell’universo in cui è posta.
A volte le artiste non si pongono in una condizione di chi possiede conoscenza e che ha quindi il dovere di divulgarla, ma al contrario come qualcuno che non ha ancora raggiunto l’obiettivo della propria ricerca, e che quindi non può essere in grado di insegnare agli altri; è sbagliato quindi credere che a priori, un artista abbia il dovere di - per così dire - “passare il testimone”.

Per questi motivi, oggi ci poniamo la questione: la maturità coincide con la creatività? Perché alcune tra le artiste più importanti dell’ultimo secolo hanno raggiunto la notorietà solo in età avanzata? Come è cambiato il loro operato con il passare del tempo? Sono accomunate dagli stessi principi e dagli stessi scopi?

Artiste (per i dettagli v. la presentazione)
Louise Bourgeois
Yayoi Kusama
Marina Abramović
Georgia O’Keeffe
Niki de Saint Phalle
Carol Rama
Meret Oppenheim
Marianne Werefkin

Corsi e attività consigliate (per i dettagli v. la presentazione)

 

Note:

1) Si intende con quarta età un concetto ampio e poco definito: esistono persone sotto i settant’anni che dipendono da cure e abitano in residenze per anziani, e centenari che vivono ancora autonomamente. La quarta età è la fase della vita che precede la morte. È diversa per ognuno e può avere durate differenti; può anche non manifestarsi del tutto. La quarta età comincia quando le limitazioni fisiche o mentali rendono difficile o impossibile gestire la vita quotidiana senza aiuti esterni.
2) Quando si parla di sensibilità straordinaria negli artisti si parla anche di questa capacità espressiva che riguarda l’atto di creazione.
3) Alla cortesia di I Remember Better When I Paint: Treating Alzheimer’s Through Creative Arts.
4) Compiuto dai ricercatori svedesi Boo Johansson e Emelie Miller.
5) https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-doctors-making-art-help-combat-alzheimers
6) Tony Jones, Presidente del Kansas City Art Institute (precedentemente presidente di The School of the Art Institute of Chicago),
in I Remember Better When I Paint.
7) https://www.artsy.net/article/artsy-editorial-creating-ceramics-help-combat-depression

Ri-crearsi nell'anzianità

Caterina Wolf

Albergo Pestalozzi, Lugano – 26 ottobre 2017
Ri-crearsi nell’anzianità
Relazione di Caterina Wolf

Eccoci qui. Ci ritroviamo con un tema e con una realtà che calzano a pennello. Ava Eva si è re-inventata, e io sono stata chiamata a parlarvi di ri-crearci nell’anzianità. Penso che quello che avrò da dirvi lo sappiate già, ma cercherò di raccontarlo con parole, e confusione, mie: ed è questa la ri-creazione.

Nessuno di noi crea dal nulla: forse Dio, quanto a noi partiamo sempre da qualcosa che c’è già. La creatività non riguarda ovviamente solo chi produce arte, anche se condivide con questi la capacità di innovare, di immaginare, di inventare soluzioni nuove a problemi vecchi, la curiosità, e in ogni caso la disponibilità al cambiamento.

Quanto a noi, variamente anziane, ci siamo ricreate seguendo il tipico percorso che porta dalla nascita all’infanzia, dall’adolescenza alla maturità prima e seconda, fino all’anzianità. Un lungo percorso di acquisizioni e di perdite, di cambiamenti in contesti sempre nuovi, in un tempo, il nostro, che ha conosciuto un’accelerazione mai conosciuta prima.
E ci siamo ri-create, consapevolmente o meno, seguendo processi biologici innati, seguendo modelli antropologici e culturali, e in seguito, più o meno consapevolmente, secondo i nostri caratteri, interessi, scelte, ecc., più personali.

Con noi, naturalmente, ha continuato a ri-crearsi anche il mondo, confrontandoci con novità e problemi del tutto inediti e che spesso ci trovano impreparate. Il mondo si è aperto secondo ritmi vertiginosi e le trasformazioni che sono sopravvenute hanno prodotto una complessità che fatichiamo a decifrare.

Cosa significa allora ricrearci nell’anzianità? E sappiamo cosa sia l’anzianità?
Come ben dice una veterana del femminismo, Betty Friedan, la nostra è “un’età da inventare”. Perché? Perché non abbiamo modelli per orientarci: non quelli delle nostre madri vissute in un mondo troppo diverso dal nostro, secondo realtà e norme sociali e culturali che da allora hanno conosciuto cambiamenti epocali.
Persino la nostra ‘natura’ ha seguito questi sviluppi. Non solo siamo più longeve, più libere di scegliere per noi stesse, grazie anche alla conquista di una certa autonomia economica; ora non dobbiamo più sottostare a un rigido ‘destino’ biologico, abbiamo persino la possibilità di ‘forzare’ la natura e scegliere se, come e quando diventare madri.Non sto purtroppo parlando della maggior parte della popolazione mondiale, che ancora deve lottare per la sopravvivenza, per i diritti fondamentali, e non solo quelli di genere.

Quindi, rispetto ai cambiamenti che hanno segnato il nostro tempo e il contesto nel quale siamo cresciute, cosa significa per noi ‘anziane’ RI-CREARCI?

Avvicinandomi agli studi sull’anzianità ho notato una grande carenza di attenzione rispetto proprio alle differenze di genere.
Partendo ora da un punto di vista psicologico, che è quello che privilegio, è proprio sull’anzianità al femminile che vorrei riflettere, per considerare il vissuto soggettivo, piuttosto che le statistiche che fanno dell’anzianità uno stato - e un problema - con tanto di data di nascita, e di morte, di costi sociali, e così via. Partendo dalla mia prospettiva, l’anziana è, in primo luogo, un soggetto, protagonista di un processo in divenire, capace di trasformarsi e di trasformare la realtà in cui opera. E subito una cosa mi sembra acquisita: le donne ‘anziane’, non si vedono più come un ‘problema’ sociale: sanno di essere la ‘soluzione’
di molti problemi sociali, una risorsa per l’economia, per esempio, in quanto garante di cura (gratuita) per i grandi anziani bisognosi di aiuto, e per bambini i cui genitori lavorano. Le anziane sono una risorsa per l’educazione e per la trasmissione di saperi, di competenze, come pure per nuove declinazioni dell’affettività dove, nella relazione nonne/nipotini lo scambio di conoscenze a volte segue vie inverse, e sono i nipoti a insegnare alle nonne, per esempio la tecnologia.

Ri-inventarci significa anche sottrarci alle generalizzazioni e ai pregiudizi sull’anzianità che partono spesso esclusivamente da studi focalizzati sull’uomo, penalizzando la donna. (Un esempio fra tanti: la recente scoperta che la farmacologia, sperimentata su campioni esclusivamente maschili, non è efficace o è persino dannosa per la donna).

Ma cos’è la RICREAZIONE? Sto tornando indietro nel tempo per ricordarvi un’esperienza che voi tutte avete vissuto e che vorrei tanto poteste rivivere ancora adesso nell’immaginazione:
Ecco siamo a scuola, ancora bambine, sedute composte ai banchi, con i nostri grembiulini tutti uguali e cerchiamo di scrivere in bella scrittura, uguale per tutti, il compito che abbiamo davanti. Cerchiamo di star ferme, di non fare macchie … e… improvvisamente, sono le 10! suona il campanello!!! RICREAZIONE !!!! Lasciamo i quaderni e l’aula e ci precipitiamo fuori… Ricordate?
Il sollievo, la sensazione della libertà riconquistata, un ritorno a noi stesse vocianti, ai giochi, alle amicizie, alla condivisione del panino, magari ai litigi. E ciascuna a suo modo, ciascuna con la sua unicità, con l’inconfondibile tratto del suo CARATTERE, che, secondo molti, tra cui l’analista James Hillman, è la forma della nostra anima e ci accompagna e si rafforza, nel bene e nel male, per tutta la nostra vita. Siamo, per usare una metafora, come un calzino. Come ogni calzino, che appena indossato, prende la forma del nostro piede e, con l’andar del tempo comincia a logorarsi, e poi a sformarsi un po’, fin che subentrano i primi buchi, cui fanno seguito i rammendi. E di buco in buco, e da un rammendo all’altro, quel calzino si RI-CREA. E se poi alla fine sembra quasi irriconoscibile, quel calzino rimane pur sempre quello stesso nostro calzino.
Così siamo noi che nel corso della nostra esistenza veniamo educate, modellate, o ferite, ma anche trasformate e ricreate dalle nostre esperienze, da successi, acquisizioni e fallimenti, da perdite e riparazioni, ma restiamo inconfondibilmente noi stesse, siamo sempre noi, abbiamo dato forma e conservato il nostro essere originario e unico. Come l’eroico calzino.

L’anzianità è appunto uno di quei momenti in cui sentiamo il bisogno di ripercorrere la nostra vicenda di calzini che si ricreano, di dare un ordine e un senso al nostro vissuto, di ridar corpo (ora che il corpo ci ricorda la nostra impermanenza), di ri-membrare, di riportare in vita, e raccontarci ciò che siamo state, per capire ciò che siamo.

L’anzianità in questo senso io la vedo un po’ come l’inizio di una ri-creazione permanente.
Ormai non ci tocca più, tornare in aula, fare le brave e prendere un bel libretto, non ci tocca più compiacere i maestri, adattarci a convenzioni e criteri collettivi. Non ci tocca il ritmo incalzante di un passaggio fra adattamento pubblico e vita privata. Non c’è più l’obbligo, ma semmai la scelta, di tornare in aula, perché ormai abbiamo frequentato a lungo la scuola della vita, e adesso quando interroghiamo il ricco bagaglio di esperienza che abbiamo accumulato, ognuna di noi diventa sia l’allieva che la maestra di se stessa.

E sarebbe bello se ognuna di noi, giunta a questo punto di una lunga e ricca esperienza, sapesse guardare con benevolo interesse, indulgenza, e orgoglio – magari anche un po’ di humor – alla strada fatta. Anche se fatta a “bütt e scarpüsc”. A me sembra che alle donne della mia, e della vostra generazione, manchi troppo spesso questa capacità di darsi un riconoscimento affettuoso, empatico e giusto. Si tratta di una difficoltà che si riassume nel problema di un’autostima, nata carente nell’era del patriarcato, ma che andrebbe finalmente ‘rammendata’! Per fortuna, anche a questo servono le amicizie che nell’anzianità hanno il tempo di rinnovarsi e approfondirsi. Non basta infatti pensare e rivisitare la vita vissuta nell’esercizio solitario dei ricordi: “chiunque io sia stata in passato, è importante che io, anziana, mi lasci coinvolgere nel mondo, e mi manifesti per quello che sono adesso”. Così si vive la contemporaneità.

Penso che una delle grandi conquiste delle ‘anziane’ sia quella imparata negli anni giovanili del femminismo, quella di condividere con altre donne, ribellioni, aspirazioni e conoscenza di loro stesse. Questo è un fenomeno che risorge ovunque fra le ‘anziane’ ed è appunto un momento che sottolinea l’esigenza di re-inventarsi partendo da esperienze condivise, da quel lungo percorso di vita capace di dar voce, non alla conformità, ma alla valorizzazione delle differenze, all’unicità di ciascuna che si vede con gli occhi dell’altra e che nell’altra si ri-conosce. Ed è particolarmente toccante quando questo si verifica a distanza di generazioni, e dal profondo del tempo risorge e si ri-crea.

A questo aspetto dell’anzianità femminile, si aggiunge quello dei rapporti intergenerazionali che nell’anzianità si fanno spesso più intensi, vuoi per necessità, vuoi per piacere. Non solo le anziane sono spesso chiamate a prendersi cura dei più anziani, ma si avvicinano anche ai figli che si erano allontanati, giustamente, per creare il loro nucleo famigliare. Ora, soprattutto le figlie, che spesso hanno un lavoro e bambini piccoli, ricorrono volentieri all’aiuto delle nonne. E chi di voi ne ha esperienza sa che bagno di vita, e non solo di fatica, sia questa riscoperta dell’infanzia. Che regalo poter vedere il mondo e noi stesse con gli occhi del bambino che vede per la prima volta, che scopre il mondo, e scoprendolo lo ri-crea. (Questo il senso che immagino avesse per Picasso l’aspirazione a tornare a disegnare come un bimbo).

La vera scoperta, non consiste nella conquista di nuovi mondi, ma nell’imparare a guardare quello vecchio con occhi nuovi, quelli dell’esperienza acquisita. Ed è in questo territorio nuovo che le nonne si ri-creano, dove diventa possibile riscoprire – insieme – la mamma e il bambino che si è stati, dove forse la nonna intuisce in sé l’unità e la co-presenza di tutte le età della donna.

L’anzianità di oggi conosce tante nuove opportunità per aprirsi al mondo; ne è un esempio proprio questa nostra AvaEva che promuove l’aggregazione creativa delle anziane, la condivisione delle loro esperienze e la ricerca di esperienze e conoscenze nuove, per esempio nell’ambito dell’abitare, o per riflettere su quel tabù culturale che è il nostro destino mortale, o per tornare in modi più consapevoli alla natura, per proteggerla e per gioirne. Penso che come non mai, noi anziane siamo golose di nuove esperienze e di nuovi saperi. Non per nulla, per es. le aule dell’Uni 3 sono frequentatissime, soprattutto da donne anziane, e così i viaggi culturali alla scoperta di città e monumenti antichi. Perché l’anziana per ri-crearsi sente anche il bisogno di ritrovare o conoscere le sue radici, la sua cultura, la sua storia. Ha bisogno di andare in profondità, e non di rimanere in superficie a raccogliere informazioni che non le servono. Torna a scuola, non più per obbligo ma per libera scelta, seguendo le sue singolari inclinazioni, dal giardinaggio, alle erbe che curano, alla creazione dei mandala, alla filosofia.

L’anzianità, questa ricreazione permanente – per come la vedo io, lo avrete capito –, è caratterizzata da un aspetto psicologico di grande importanza: un fondamentale cambiamento di prospettiva. Questo ce l’ha segnalato il grande psicologo analista svizzero C.G. Jung. Lapidariamente, ecco la scoperta che ci interessa: abbiamo passato la prima metà della nostra vita cercando di adattarci al mondo; nella seconda metà dobbiamo imparare ad adattarci a noi stessi. Non so se la citazione sia precisa, ma il succo è questo. Del resto Jung era anche convinto che “il massimo potenziale di crescita e autorealizzazione si manifestasse proprio nella seconda metà della nostra esistenza”.
Quindi se fino al sopraggiungere di questa fase, il nostro Io era proiettato verso il fuori – per trovare il suo posto, e realizzare scopi, desideri, e ambizioni, secondo le regole e le convenzioni collettive –, nella seconda metà della vita l’orientamento verso l’esterno cambia qualitativamente; i valori e i riti collettivi perdono d’interesse. Il bisogno di affermare il nostro Ego si placa, diventa più importante capire in profondità il senso di ciò che siamo e abbiamo vissuto, non unicamente da una prospettiva individuale e personale, ma più aperta a ciò che è universalmente umano. Abitiamo la nostra interiorità, con il bisogno di imparare a capire, e forse ri-scoprire, i valori a cui teniamo e che danno un senso alla nostra vita, alle nostre relazioni, e per meglio decifrare quello che vogliamo, o non vogliamo, essere. Penso che anche da questo punto di vista l’esercizio di cura che la donna, volente o nolente, ha praticato da sempre, sviluppando empatia e compassione per le vicende umane, faciliti questo passaggio a una dimensione più spirituale e autentica nella sua relazione con il mondo.

Non voglio certo affermare che questo ritorno a una realtà soggettiva più autentica, sia un ritorno al paradiso terrestre, perché la fase che comincia con l’anzianità coincide anche con la scoperta di problemi e limiti inediti, e spesso dolorosi, in molti ambiti sociali e intimi. Penso per es. ai problemi di salute, o economici, ai compiti di accudimento spesso faticosi. Penso anche alla solitudine di tante anziane che deriva da lutti o separazioni non volute. Qualcuno, forse sarcasticamente, mi diceva: hai visto? Gli uomini non muoiono mai soli. Questo perché le mogli sono in genere più longeve, o perché le compagne sono molto più giovani. Un vedovo di solito si affretta a risposarsi, alle donne succede raramente. Come mai?

Qui ci sarebbe da riaprire una nuova grande riflessione, sull’amore e la sessualità, riassunti nella prospettiva più adulta dell’INTIMITÀ. E sulle differenze di genere in quest’ambito. Siccome il tempo è poco, mi limito a suggerirvi l’esempio che trovate in un romanzo che forse avete già letto: “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf (ed. NN). Uscirà presto la versione cinematografica con due grandi anziani che conosciamo bene: Robert Redford e Jane Fonda. Questo è un toccante esempio di come si declini l’intimità nell’anzianità, un processo di profonda e sincera apertura all’altro, con il coraggio di rompere schemi e pregiudizi per ricreare la relazione profonda e l’amore, anche oltre la cruda sessualità. Nel romanzo tutto questo è promosso dall’audacia con la quale la protagonista si rischia per proporre qualcosa di nuove e inaudito, ma anche della capacità dell’uomo di saperlo apprezzare e condividere.

Ciò mi induce a pensare, un po’ maliziosamente, che l’anziana spesso sa essere coraggiosa e disinibita quando si tratta di rompere schemi e pregiudizi sociali, proprio perché dagli schemi e dai pregiudizi sociali, di stampo maschilista, la donna è stata spesso penalizzata, discriminata, e/o insufficientemente gratificata. In questo senso, quindi, sfidando le regole non ha poi tanto da perdere. Del resto, come abbiamo visto, la sfida alle convenzioni penalizzanti, è un’acquisizione, tra le tante, che si è guadagnata in gioventù, quando ha lottato con coraggio e insolenza per i suoi diritti, mai veramente realizzati, ma neppure accantonati. Pure questi da Ri-creare, con criteri nuovi, meno antagonistici forse, e più orientati verso una conciliazione creativa. Come accade in questo originale romanzo.

Uno dei grandi temi dell’anzianità, il CORPO, meriterebbe una riflessione approfondita, e proprio dal punto di vista del femminile, perché anche qui le differenze di genere ovviamente sono importanti. La donna che inizia l’anzianità, si confronta da varie prospettive con il corpo che si trasforma. Perché non è coinvolto solo l’aspetto fisiologico, come processo naturale e oggettivo, ma anche l’aspetto culturale e simbolico. Anche in questo caso posso solo accennare alla problematica. Del processo naturale fisiologico conosciamo tutte qualche caratteristica: dalla perdita di energia, di tonicità, di usura, fino alla malattia debilitante, ecc. Ma occorre tener conto anche dell’aspetto psicologico dell’anzianità del corpo, perché è più subdolo e ha le sue radici nella nostra cultura. La cultura nella quale siamo cresciute, e che ci assale da tutte le parti con televisione, pubblicità e relazioni sociali ecc., ci vuole tutte giovani, efficienti, disponibili, e belle. La cultura consumistica e narcisistica, che purtroppo, senza rendercene conto, abbiamo in qualche modo interiorizzato, rischia pericolosamente di farci sovrapporre e confondere IMMAGINE e IDENTITÀ. E allora? Cosa ce ne facciamo dell’IMMAGINE che ci viene incontro ogni mattina dallo specchio? Sono io quella? Spesso nell’anzianità, avvertiamo uno scollamento profondo fra ciò che vediamo e ciò che sentiamo di essere. L’immagine che ho di me stessa, quella che sento di essere, la mia IDENTITA’ non può certo esprimersi o rappresentarsi con il mio riflesso sulla superficie dello specchio. E allora mi chiedo, cos’è la mia età, cos’è il mio tempo? E forse questa è l’occasione per tornare alla scoperta già rilevata a proposito delle relazioni intergenerazionali: la coesistenza in me di tutte le mie ETÀ. A seconda delle circostanze, del momento, del mio umore, dei miei desideri, può prevalere la qualità di una fase, che non è quella dell’oggi: per es. l’intensità del sentire dell’adolescenza, la capricciosità o lo stupore dell’infanzia, la saggezza dell’antenata percepita nella nonna, e così via. Questo per dire che l’esperienza vissuta lascia sempre delle tracce.
Ma per tornare alla difficoltà di confrontarci con la nostra immagine di oggi, penso che, certo, un po’di humor possa servire, ma sicuramente, e molto più profondamente, serve la capacità di isolare l’immagine superficiale – percepita con l’occhio contaminato dai giudizi e pregiudizi culturali che ognuno, credo, inconsapevolmente ha assimilato –, per vedere, ‘oltre’ l’immagine congelata nell’attimo, il riassunto di una vita. Vale a dire ri-creando il percorso che riassume in un volto tutto il pathos dell’esistenza. Forse non ci libera da una certa nostalgia per ‘come eravamo’, ma ci permette di ri-creare il nostro viso con un lifting dell’anima, oltre ideali stereotipati, o chirurgie estetiche. È quello che hanno fatto i grandi artisti che ci hanno mostrato la straordinarietà di ogni vita e del destino umano, nella verità di un volto percepito con lucida profondità ed empatia. (Penso sempre con commozione all’ultimo autoritratto di Rembrandt, dipinto poco prima della morte.)

Ho scoperto con sorpresa che spesso sono proprio i nostre LIMITI a renderci più creative, e di questi l’anzianità ce ne regala tanti! A questo proposito ci sono molte scoperte che possono confortarci. Ci vengono stavolta dalle neuroscienze. Perché le neuroscienze in anni recenti, si sono molto interessate al cervello degli anziani, e proprio per quanto concerne la creatività. Si stanno infatti scoprendo molte nuove risorse del cervello anziano; in modo particolare, che l’anziano possiede le caratteristiche del ‘creativo’, più che non i più giovani. E torno a ricordare che per creativo non si intende solo chi produce arte, ma creativa è prima di tutto, la capacità di cambiare, di trovare soluzioni nuove e originali, di rompere schemi, di vedere le cose con occhi nuovi, di usare l’immaginazione, di ‘osare’, di re-inventare.

Perciò non stupisce, la longevità creativa di una Levi Montalcini, o di tante artiste e scrittrici che approdano ai loro migliori risultati nell’anzianità. E ovviamente, non solo donne. Recentemente mi ha incantata il nostro ultimo premio Nobel, quel bellissimo e ‘normale’ anziano tra i suoi studenti, in camicia con le maniche arrotolate e i sandali ai piedi, pronto a recarsi al consiglio comunale del suo paese per sostenere il suo gruppo socialista, prima di recarsi a Oslo a ricevere il prestigioso riconoscimento. Esprimeva bene, a prescindere dall’eccezionalità del suo talento, quella freschezza, quella capacità di condividere senza formalismi stantii, una scoperta nata da intuizioni precedenti, interrogate con pazienza, e grande immaginazione, sfidando i rischi del fallimento possibile, per approdare a una nuova visione del cosmo.

A prescindere dagli esempi d’eccezione, la cosa riguarda anche noi comuni mortali anziane. Come mai, secondo le neuroscienze, il cervello dell’anziano è particolarmente creativo, plastico e non atrofico come si tendeva a pensare? Sono proprio i ‘difetti’, o i limiti, a venirci in aiuto, sollecitandoci a trovare soluzioni nuove, per andare incontro al cambiamento. Esempi banali: perdiamo le parole? Bene, impariamo a girarci in giro e a trovare espressioni equivalenti, o ci facciamo furbi e cambiamo discorso. Oppure, rinunciando al bisogno di ‘far bella figura’, ci presentiamo allegramente con la nostra nuova realtà. Non riconosciamo la persona che ci viene incontro? O lo diciamo senza preoccuparci della ‘figuraccia’, o mettiamo in scena una recita convincente e ci divertiamo.
Sappiamo che nell’anzianità diventiamo più distratti, la nostra attenzione non è più tanto focalizzata, tendiamo a divagare: secondo gli studi sul cervello ‘anziano’, questo comporta che, proprio grazie alla nostra scemata attenzione focalizzata, l’orizzonte si apra e si faccia più vasto, includendo un maggior numero di informazioni, nuovi aspetti del problema. Questo promuove e sollecita nuove associazioni, crea nuove sinapsi e, per concludere, soluzioni più originali e innovative. Anche questo spiega perché tante scoperte scientifiche importanti ci vengano dagli anziani. Non solo perché hanno accumulato negli anni un grande bagaglio di conoscenze e esperienze, ma perché queste vengono usate diversamente, con una libertà che sfida gli schemi e quindi innova, ri-crea.

Accettando i nuovi limiti dell’anzianità, ci liberiamo dal dover dimostrare quanto siamo ancora efficienti e capaci, ci rendiamo più disinibite, più disposte a rischiare, meno disposte a compiacere le aspettative altrui, meno dipendenti dall’approvazione e dai giudizi, e quindi capaci di rompere gli schemi e riscrivere le regole in modo innovativo.
D’altro canto, resistere al cambiamento o negarlo, aggrappandoci a modelli di comportamento troppo rigidi e convenzionali, ci fa male, ci fa sentire impotenti, lede la nostra autostima ed è spesso causa di ansia e depressione.
Jung diceva – e la cosa vale ancora – che “i frequentissimi disturbi degli anni adulti hanno tutti una cosa in comune: vogliono portare la fase giovanile oltre la soglia. (...) se porti nel pomeriggio la legge del mattino troverai ad aspettarti tanti guai (…)”, che si possono manifestare attraverso segnali psicosomatici, depressivi, ecc.

Quindi occorre accettare questa fase della vita, tanto esigente, spesso penosa, ma anche tanto interessante e potenzialmente ricca e creativa. E imparando a condividere le nostre esperienze, soprattutto quelle più difficili, riusciamo anche a relativizzarle e ci sentiamo meno sole, e più profondamente capaci di intendere e accettare il comune destino dell’umano.
Vorrei anche accennare a un altro aspetto che ostacola la nostra creatività: l’ABITUDINE. Senza rendercene conto, siamo tutti prigionieri delle abitudini. E non solo perché ci rassicurano, ci fanno comodo, fanno parte della continuità del nostro vivere, ma soprattutto perché le abitudini finiscono per diventare inconsce. E quindi, quando diventano inconsapevoli, ci tengono prigioniere, e ci impediscono di cambiare.
Ho trovato un buon esempio di questo meccanismo. Pensate alle vostre prime lezioni di guida, quando dovevate imparare quale pedale frenasse e quale era quello del gas. E poi bisognava inserire la marcia giusta, e, una volta partite, stare attente alle curve, alla segnaletica, e così via. Ora, che da un bel po’ avete imparato a guidare, tutte queste cose le fate automaticamente, senza pensarci. Procedete con il pilota automatico. Con le nostre abitudini, acquisite negli anni, facciamo la stessa cosa. Non ci rendiamo più conto dei nostri comportamenti, delle nostre difese, non riconosciamo neppure la ragione di certe nostre emozioni. Reagiamo con il pilota automatico, senza più chiederci se quello che facciamo corrisponda davvero a ciò che desideriamo, se i sentimenti che viviamo come scontati siano davvero i nostri sentimenti autentici, o se appartengono a rituali vuoti di significato, ecc.

Quando le nostre abitudini vengono sfidate, e nell’anzianità le occasioni abbondano, perché i cambiamenti sopravvengono sia da fuori che da dentro, dalle condizioni del mondo esterno, come da quelle del mondo interno, da corpo mente e psiche, allora rompere gli schemi non è più una scelta, ma una necessità quasi fisiologica.

Ci vuole davvero molta attenzione per capire quale sia l’abitudine di cui non ci rendiamo conto e che ci condiziona ad agire o reagire in modi disfunzionali: un esempio semplice e concreto che vale per molte? La nostra postura. Siamo abituate a camminare in un certo modo, a tenere le spalle troppo alte o troppo basse, ecc. Poi cominciano i dolorini, e le radiografie ci dicono che la colonna è storta, i muscoli rigidi, o quant’altro. Allora ci rendiamo finalmente conto che l’abitudine è diventata automatica, inconscia e, dannosa. E ci tocca, esercitando pazienza e molta attenzione, ri-creare andatura e movimenti.
Ma naturalmente ci sono comportamenti più difficili da stanare perché sono legati all’immagine che abbiamo di noi stesse, alla nostra identità. E anche queste sono diventate abitudine, si sono cristallizzate, non hanno seguito il dinamismo del nostro divenire. E proprio per questo o facciamo inutili fatiche per tenerle in vita, diventiamo rigide e insoddisfatte di noi stesse, oppure, come abbiamo già notato, cominciamo a interrogarci, a cercare di capire cosa l’insoddisfazione voglia dirci e quali cambiamenti esiga.

Ci vuole molta onestà per riconoscere verità a volte scomode: occorre sviluppare attenzione lucida e coraggio per sfidare la paura o anche la vergogna della scoperta. La nostra immagine non corrisponde a ciò che vorremmo. Spesso abbiamo ideali e aspettative riguardo a noi stesse che ci sono state trasmesse dall’educazione, da esempi inarrivabili, e che non ci appartengono. Ovviamente se siamo tendenzialmente giudicanti e severe faremo fatica a guardarci con un po’ di empatia e humor, ma se lo facciamo riusciremo a integrare aspetti nuovi che ci aiuteranno a vivere con più libertà e energia; se ne gioverà anche la nostra autostima perché sapremo radicarci meglio nel nostro essere autentico.

Le ansie, l’inquietudine, l’insoddisfazione, o anche la depressione che spesso sperimentiamo nell’anzianità, sono spesso legate alle resistenze al cambiamento che ci mantengono in uno stato di stagnazione. Sono questi i momenti in cui sperimentare qualcosa di nuovo ci può aiutare. Non occorre certo che si tratti di qualcosa di grandioso: a volte basta rompere un’abitudine che percepiamo come ripetitiva e: perché non decidere che una volta alla settimana ci si trovi con un’amica a mangiare una pizza? O si va al cinema da sole? O ci si iscrive a un corso di tango? O di filosofia? Sono infinite le piccole cose nuove che si possono fare: e quando si apre una porta, a volte se ne spalancano molte altre. E si comincia davvero a diventare strumento e misura del proprio cambiamento. Cioè a ri-crearsi!!!


Locarno, 26.10.17

Convegno 2013: Relazione di Norah Lambelet Krafft - Ecole des grands parents

Associazione Ecole des Grands-parents - Presentazione di Norah Lambelet Krafft Fondatrice e Presidente dell’Ecole des Grands-Parents, Suisse Romande

Movimento AvaEva Ticino “La scuola dei Nonni: un’associazione dinamica”

 

In questa grande giornata per AvaEva purtroppo io non sono presente personalmente per festeggiare con voi la creazione del vostro movimento al quale auguro molta fortuna di vivere anni belli e colmi di magnifiche esperienze quali noi abbiamo vissuto alla Scuola dei Nonni in Svizzera Romanda.

Sono molto felice di poter partecipare, seppur da lontano, a questo grande giorno. Tengo a ringraziare Norma Bargetzi e Margherita Malè Stolz per avermi associata a questo avvenimento. Un grazie particolare a Margherita che ha avuto la gentilezza e il coraggio di tradurre il testo che ho preparato per voi, essendo il mio italiano di tipo piuttosto casalingo e non letterario.

Le sono molto riconoscente.

 

Vi presento quindi la scuola dei nonni che ha appena celebrato i suoi dieci anni di esistenza. Quando è nato il tema dei nonni e delle relazioni intergenerazionali non era ancora di moda e mi veniva chiesto per quale motivo avessi scelti i nonni come tema centrale della nostra azione. A quei tempi esistevano già parecchie istanze consacrate ai “seniors”, quali Pro Senectute, Avivo, Mouvement des Anciens. Essendo io stessa diventata nonna in quel periodo, avevo constatato che non esisteva niente che fosse veramente destinato ai nonni e che potesse quindi essermi di aiuto nell’assunzione del mio nuovo statuto in seno alla famiglia. E solo alla lunga, nei mesi e negli anni successivi che mi sono resa conto dell’importanza del ruolo che stava assumendo la Scuola dei nonni e che ho scoperto le diverse sfaccettature di questo ruolo così delicato e meraviglioso.

 

Prima di proseguire, perchè aver denominato l’associazione, “Scuola dei Nonni”?

“Scuola dei Nonni” perchè il ritornare sui “banchi di scuola” è una strizzata d’occhi alla vita, è restare giovani!

 

Gli obiettivi dell’associazione “Ecole des Grand Parents, Suisse Romande”, sono i seguenti 

  • Favorire la costruzione e la qualità delle relazioni intergenerazionali.
  • Offrire un luogo, uno spazio di ascolto, di sostegno e di accompagnamento a dei nonni che vivono delle rotture famigliari.
  • Offrire un luogo di incontro, riflessione e di ascolto per condividere, scambiare e progredire insieme.
  • Incoraggiare e favorire la comunicazione all’interno della famiglia e la trasmissione della storia, dei valori e delle radici famigliari.
  • Offrire delle formazioni permanenti, seminari, conferenze, ateliers, ecc.
  • Stimolare il piacere di essere e stare insieme e di riconoscersi nel ruolo specifico di nonni.
  • Tessere dei nuovi legami con persone della stessa generazione e condividere il medesimo statuto nella linea di discendenza famigliare.

 

La missione della “Scuola dei nonni”

La “Scuola dei nonni Svizzera Romanda”, intende agire sui temi seguenti, che figurano negli statuti dell’associazione: 

  • Prevenzione dei conflitti e delle rotture famigliari.
  • Ascolto e accompagnamento delle relazioni intergenerazionali, ossia sostegno delle situazioni relazionali intergenerazionali problematiche (nonni che vengono privati del contatto con i loro nipotini, il problema che è più frequentemente evocato).
  • Formazione continua e riflessione sul ruolo e il posto dei nonni nella società odierna.
  • Organizzazione di incontri e attività intergenerazionali
  • Organizzazione e partecipazione ad azioni collettive concernenti l’adolescenza e le giovani generazioni.
  • Creazioni di rapporti di collaborazione e di sinergie, con diversi organismi che hanno scopi analoghi in relazioni con la famiglia, gli anziani, i giovani genitori, i bambini, gli emigranti. Organizzazioni di azioni comuni.
  • Contatti con le istanze e/o i servizi ufficiali

 

Proposte di attività e prestazioni per rispondere alla nostra missione 

Le attività che noi proponiamo hanno un denominatore comune: chiarire e rafforzare il ruolo e il posto dei nonni nella costellazione famigliare in seno alla società odierna. 

Queste attività che generano dei costi, sono sia gratuite o proposte per una modica somma, sia autofinanziate, grazie alla disponibilità di eminenti specialisti disposti a offrire gratuitamente le loro prestazioni: 

  • Caffè dei nonni: discussione libera su un tema in presenza di un invitato
  • Seminari e ateliers diversi
  • Accompagnamento e sostegno relazionale e professionale
  • Ascolto professionale in tre diverse forme
    • Ascolto telefonico
    • Colloquio individuale
    • Gruppo d’incontro
  • Consultazioni giuridiche
  • Relazioni con i membri, le persone o gli organismi interessati
  • Vendite – esposizioni
  • Attività e uscite intergenerazionali

 

Invece di fare un inventario alla “Prévert” di tutte le nostre attività di tutti gli avvenimenti, di tutto ciò che succede o è successo di formidabile, di difficile, di allegro o di triste dall’inizio fino ad oggi, vorrei condividere con voi le nostre riflessioni, le nostre domande, le nostre constatazioni , i nostri desideri, le nostre speranze.

L’esperienza della “Scuola dei Nonni”, nata 10 anni fa, nel marzo 2003 in presenza di 12 persone, è stata uno dei maggiori insegnamenti della mia esistenza, nonostante il mio lungo percorso professionale nell’ambito dell’infanzia e della famiglia. In egual misura lo è stato per le persone che mi hanno coadiuvata e che mi sono tuttora vicine aiutandomi a realizzare a fondo il nostro progetto. 

Tutto questo ha elargito alla nostra équipe e a me stessa molti insegnamenti, ci ha permesso di vedere, osservare, studiare e capire alcuni aspetti della vita famigliare che non avremmo supposto prima. 

Innanzi tutto abbiamo imparato come i nonni di oggi non siano più le vecchiette con lo chignon a treccine, sedute sulla panchina a sferruzzare o il vecchietto occhialuto con il bastone. La nonna di Cappuccetto Rosso, non aspetta più il cestino con la merenda nella casetta del bosco, forse guida la macchina, lavora e fa le sue spese da sola. Può darsi che usi il computer e lo smartphone, o forse entrambi viaggiano spesso e anche i nonni, gli uomini, sono molto presenti accanto ai nipotini.

Il progresso della medicina e l’allungamento della speranza di vita fanno si che i nonni siano sempre più numerosi, più giovani, più dinamici, più attivi, qualche volta più ricchi e spesso in buona salute. In fine, almeno in linea di massima, hanno più tempo.

I nuovi nonni hanno sviluppato bisogni e interessi diversi da quelli delle generazioni che li hanno preceduti, sperano di vivere con pienezza e di trovare un posto riconosciuto nella società e nella famiglia.

In poco più di un secolo siamo passati da una cellula famigliare allargata, in cui i nonni, zii, zie, cugini e cugine erano parte integrante della famiglia e partecipavano a diversi aspetti organizzativi della vita quotidiana e dell’educazione dei bambini, alla famiglia nucleare di oggi. 

Abbiamo imparato molte cose sul ruolo, il mestiere, lo statuto dei nonni, sulla loro posizione, la loro importanza primordiale e sulla posizione in seno alla famiglia, quella che avevano immaginato, che avrebbero desiderato avere e quella che in realtà hanno o che talvolta non hanno.

Giovani genitori e nonni hanno una visione e delle aspettative diverse sul posto che ognuno di loro avrà quanto arriverà il bambino. Spesso non ne hanno parlato prima o addirittura succede che dei nonni non siano stati informati prima dell’evento.

Il ruolo dei nonni ha fatto un’evoluzione, ha assunto una nuova importanza per effetto dei grandi cambiamenti sociali, quali il mutare dei costumi e delle abitudini parentali, la diversificazione dei modelli e delle forme famigliari, le nuove forme di genitorialità, matrimoni e divorzi (1 coppia su 2), famiglie monoparentali, famiglie ricomposte, decomposte, pacs, matrimonio per tutti, separazioni sempre più spesso precoci.

I nonni hanno dovuto adattarsi a queste nuove realtà che per loro sono talvolta da capogiro. 

Durante i nostri incontri, dialogando con i membri della “Scuola dei nonni” molto abbiamo imparato sull’evoluzione dei rapporti e dei legami tra le generazioni, sul ruolo dei nonni e sulle nuove nozioni riguardanti la “nonnitudine” e le differenze generazionali. 

La nostra società “frantumata” e isolata fa si che i legami famigliari diventino di più in più tenui, le relazioni si sono profondamente modificate, i rapporti sono talvolta fatti di paradossi. Le aspettative e i bisogni di ciascuno sono diversi. La “nuova” famiglia è sovente composta da compagni, dagli amici di Facebbok, Twitter o altre reti sociali. I nonni che si danno ai bambini non fanno più riferimento ai membri della linea famigliare, sono diventati esotici, si riferiscono a nonni di attori di moda o a personaggi di serie televisive. Abbiamo constatato di essere di fronte a una generazione “Kleenex” o “Ikea”, la generazione della società dei consumi, della soddisfazione immediata dei bisogni e dei desideri: tutto e subito, qui e ora. Si compera, si prende, si utilizza, si butta, si rinnovano i modelli scaduti, gli oggetti ingombranti, le persone e, talvolta anche i nonni. 

Nonostante ciò la famiglia resta a tutt’oggi un valore importante in generale per la riuscita della propria vita, non è l’aspetto professionale che è prioritario ma è la famiglia. Si vuole riuscire nella vita di coppia e famigliare, si cerca veramente di fare il proprio meglio. Ciò appare paradossale se si considera il tasso attuale dei divorzi. Ma dal momento che le aspettative individuali si sono considerevolmente rafforzate, le delusioni sono più grandi che in passato. Sia a livello professionale che per quanto riguarda il tempo libero c’è un’enorme pressione sull’evoluzione personale. 

Abbiamo imparato a conoscere i nuovi mezzi di comunicazione, non sempre capendoli e con essi il funzionamento delle giovani famiglie regni di internet, sms, social network che generano facilmente impoverimento e illusione di comunicazione, un mondo colmo di pericoli, di confusione e di malintesi, di danni collaterali e di potenziali conflitti, spesso all’origine di drammi famigliari (Facebook m’a tué, un libro di Alexandre des Isnards e Thomas Zuber) 

Internet è diventato la referenza dei giovani e delle nuove famiglie che cercano e consultano per qualsiasi cosa e su qualunque argomento perfino per capire come occuparsi dei loro bambini, rifiutando spesso i consigli e le informazioni da parte dei “vecchi”, “dei saggi”.

Abbiamo costatato che i nonni sono soprattutto descritti come i “nonni zucchero”, spesso li si accusa di viziare troppo i bambini, di essere troppo permissivi, di immischiarsi troppo nella vita delle giovani famiglie e di essere perfino responsabili di eventuali bisticci famigliari.

Abbiamo scoperto le gioie, le pene, la felicità e i conflitti, le sofferenze e i drammi.

Abbiamo ascoltato le testimonianze di nonni felici, quelle di nonni devastati dal dispiacere e di nonni che di dolore si ammalano, talvolta fino a morirne.

Abbiamo conosciuto e partecipato a studi, ricerche, libri e conferenze. Ma oggi vogliamo soprattutto parlare di ciò che abbiamo scoperto tra i nonni che abbiamo visto e ascoltato.

Durante questi dieci anni abbiamo incontrato persone meravigliose, abbiamo imparato che i nonni sono formidabili, che sono poco conosciuti e spesso poco riconosciuti, è come se facessero parte dell’inventario, sono sovente disponibili e perfino a disposizione senza peraltro avere un posto proprio nella vita famigliare.

Ne abbiamo pure conosciti di bisbetici e lamentosi, raramente dei rivendicativi, degli intrusivi, dei confusionari ma anche dei generosi. Ma abbiamo incontrato soprattutto delle persone ammirevoli e piene di amore per la loro famiglia e per i loro nipotini.

Abbiamo saputo che in Svizzera i nonni curano i loro nipotini, molto spesso (100 milioni di ore ossia 2 miliardi di franchi di risparmi l’anno secondo uno studio dell’ufficio Bass), ma talvolta capita anche che siano tagliati fuori da qualsiasi relazione a causa di conflitti tra loro e i genitori.

 

Abbiamo ricavato la convinzione che i nonni siano degli attori importanti a sostegno della parentalità. Che aiutano e sostengono i loro figli, che sono diventati genitori, nei buoni e nei cattivi momenti, che nei momenti difficili per le giovani famiglie offrono un’occasione di pausa per riprendere fiato, che vogliono del bene e mai del male, che sono un punto di riferimento per i loro nipoti nei periodi di crisi ma anche nei momenti buoni.

 

Abbiamo sentito e constatato che i nonni pensano di fare del loro meglio, che fanno ciò che possono, il più possibile secondo la loro coscienza, anche se sono talvolta maldestri o se sbagliano.

Durante tutti questi dieci anni il filo conduttore della Scuola dei nonni, è stato e resta la riflessione del ruolo e il posto dei nonni, l’apprendimento e la formazione continua nel campo della comunicazione tra le generazioni, la prevenzione dei conflitti famigliari, l’aiuto, l’ascolto, il sostegno e l’accompagnamento nelle situazioni di rottura e nelle sofferenze che ne derivano.

 

Senza pregiudizi in questi casi, senza parteggiare, la nostra porta d’entrata, resta beninteso, quella dei nonni. Insomma, si tratta di una specie di “servizio dopo vendita”

 

Siamo conosciuti e anche riconosciuti come interlocutori di qualità, una referenza importante nell’ambito della famiglia e siamo sollecitati frequentemente per riflessioni o ricerche. Ci viene richiesto di partecipare a diverse azioni intergenerazionali, quale l’attuale campagna della città di Losanna “Io e gli altri”, il cui tema centrale è l’alterità e i rapporti intergenerazionali. Siamo invitati a dare conferenze, a partecipare a progetti quali “Popaie”, un programma di apertura alla partecipazione degli anziani alle istituzioni per l’infanzia presentato a Losanna dalla “Crèche du Clos de Bulle”. Partecipiamo a riflessioni, seminari, gruppi di lavoro e collaboriamo con diversi servizi ufficiali e privati. Siamo spesso sollecitati dalla stampa e dai media su argomenti che trattano le relazioni famigliari e intergenerazionali.

 

Siamo diventati un punto stabile di ancoraggio, un riferimento per molti, un punto centrale per avere delle informazioni, dei consigli, parlare, ascoltare, essere ascoltati, discutere, riflettere, trovare delle risposte, cercare di trovare la giusta distanza tra le generazioni.

 

Impariamo così che, come diceva Dolto: “i nonni devono esserci quando lo si domanda loro e non esserci quando a loro non lo si domanda.”

Spesso sentiamo l’osservazione - “non ho bisogno di una Scuola dei nonni, per occuparmi dei miei nipoti o per fare del bricolage”, o ancora, “non vengo alle attività perché non ho problemi, non ne ho bisogno”.

 

Ma assai sovente, ci viene posta la domanda: “quali sono i miei diritti, non posso vedere i miei nipotini, non li ho mai visti, curavo i miei nipoti e da un giorno all’altro mi è stato proibito, mio/a figlio/a ha divorziato e da allora, non ho più potuto vedere miei nipoti… E altre situazioni dolorose quali il decesso di un giovane genitore.

 

Certamente ciò che noi cerchiamo di fare, la nostra ambizione, il nostro scopo e la nostra visione a corto, a medio e a lungo termine son in primo luogo di riuscire a diventare dei nonni “migliori”. Semplicemente questo!

 

Noi offriamo un luogo che permetta di non sentirsi isolati, quanto si vive un problema e una sofferenza indicibili, al di la delle parole. Sentirsi di appartenere a un gruppo di pari, sentirsi talvolta meno soli.

La testimonianza seguente di una nonna parla da sola:

“La situazione conflittuale tra la mia nuora e me mi pesava enormemente. In quel periodo, essendo seguita da una psicologa, ho potuto prendere una certa distanza da questi conflitti. Fuori da suo contesto la situazione è diventata pressoché insignificante. Fu in questa occasione che feci conoscenza dell’associazione e che volli farne parte. Attualmente faccio la nonna quasi a tempo piano, eh sì, tutti i miei pomeriggi li consacro ai miei nipotini, peraltro con grande piacere mentre nel tempo restante mi sono rimessa in politica. Quando ho comunicato a mia nuora che facevo parte dell’associazione per essere una nonna migliore, mi ha risposto che non potevo fare cosa migliore. Dunque, passata la tempesta, adesso c’è il bel tempo con i bambini che hanno voglia di stare e persino dormire con me. E’ vero che il tutto non è stato facile e mio figlio era letteralmente dilaniato. E’leggendovi che realizzo di uscire vittoriosa per il bene di tutti. Avere l’appoggio dell’associazione mi ha dato un equilibrio che da sola non avrei trovato. Sapevo che potevo, se ne avevo bisogno, sfogarmi sulla vostra spalla, venire a vedervi. Insomma, non ero sola.” 

Un’altra testimonianza di un nonno mostra in modo sconvolgente ma semplice e chiaro, ciò che vivono e sentono alcuni nonni.

“Ho 2 nipotine e una bis nipotina. Non vedo la maggiore da 17 anni. Lei abita all’estero e ha rotto tutti i ponti. Aveva 7 anni quando ci siamo salutati e non so neppure se la riconoscerei. La seconda è a Losanna, ma non si fa mai vedere. Quando insisto, ci vediamo per un momento che è per forza deludente. La mia bis nipotina non la vedo mai. Trovarmi con persone che parlano dei loro nipoti ravviva il mio dolore. Mi capita talvolta anche quando vedo l’intesa che la mia seconda moglie ha con sua figlia e i suoi ragazzini.” 

Tuttavia sembra che non siamo abbastanza conosciuti dal grande pubblico pure avendo 160 membri, di cui molti sin dagli inizi.

Abbiamo quindi ancora molto da fare come promozione; ma siamo certamente diventati dei promotori della causa dei nonni.

 

Dove vogliamo andare e cosa vogliamo fare ora?

Riconoscere e far riconoscere il ruolo primordiale dei nonni nella famiglia e nella società in quanto sembra che lo si consideri più come acquisito, uno statuto unicamente naturale, senza porsi delle domande, sui loro auspici, i loro bisogni, le loro attese: questo è il nostro obiettivo. Far conoscere e riconoscere il loro ruolo nella costruzione dell’identità del bambino, permettendogli di situarsi nella discendenza famigliare. Ecco quanto ci auguriamo di raggiungere. 

I divorzi e le separazioni toccano i nonni così come i loro figli e i loro nipoti. Sono spesso fonti di tensione ai quali si aggiungono il rischio di rottura dei rapporti tra i nonni ,i genitori e i nipoti.

Ma non sono solo i divorzi e le separazioni che possono dar luogo a tensione e alla rottura delle relazioni. I problemi relazionali e talvolta i regolamenti di conti tra i membri di una famiglia (suocere/nuore – figli/madri – figli/padri – figli – ecc.),disillusioni, aspettative deluse, sono molto frequenti. 

Isolamento, indifferenza, rifiuto, squalifica, silenzi, alienazione della “nonnitudine”. La famiglia è talvolta il luogo dei conflitti, della gelosia, dei colpi bassi più vari. Sofferenza dei bambini, sofferenza dei nonni, sofferenza di tutta la famiglia, diritti dei bambini, conflitti di adulti, conflitti tra adulti: si dimentica che la vittima principale di queste rotture è sicuramente il bambino al quale non si pensa abbastanza e che si trova al centro dei tormenti intergenerazionali che causano così sofferenza anche a lui, una perdita di fiducia negli adulti, dei conflitti di lealtà importanti e desecurizzanti. 

Il bambino viene privato delle sue radici, della sua famiglia, della sua storia di vita, della sua possibilità di costruirsi, del suo bisogno di appartenenza. Bisogno di far parte di un clan, bisogno di essere identificato in quanto anello della catena famigliare.

Il bambino è un ramo e anche una gemma interamente parte della sua famiglia, che lo si voglia o no, e ha bisogno di nutrirsi delle sue radici. Per sapere chi è e dove va, deve dapprima sapere da dove viene.

Citiamo l’ultima frase del libro di Marcel Rugo che dice:

“… l’albero di vita, il radicamento e la potenza della filiazione che rappresentano i nonni… “

Succede spesso che il bambino sia privato dei suoi nonni senza spiegazioni, senza poter capire ciò che sta succedendo, con la conseguenza di avere talvolta il sentimento che lo abbiano abbandonato mentre avevano costruito dei legami stretti durante un lungo periodo. Può credere di essere colpevole e all’origine di questo dramma. Questo si può considerare un maltrattamento del bambino. 

Bisogno di sicurezza affettiva, di stabilità di coerenza, di qualità dei legami con gli adulti: quando metteremo il bambino al centro della nostra preoccupazione in questa nuova “società dell’EGO”?

Sì, rimettiamo infine il bambino al centro delle preoccupazioni, riconosciamogli di vivere la sua vita di bambino… di non essere ostaggio di conflitti degli adulti dei quali non è in nessun modo responsabile.

La convenzione dei diritti dei bambini riconosce che il bambino, per lo sviluppo armonioso della sua personalità, deve crescere in un ambiente famigliare, in un clima di felicità, di amore e di comprensione. Ciò include anche la qualità dei legami tra generazioni. Si potrebbe credere che si abbia dimenticato il bambino e i suoi bisogni nel mondo di oggi in cui ognuno è preoccupato prima di tutto di se stesso, come se il bambino fosse un piccolo adulto prima dell’età per esserlo e che possa sopportare tutto, capire tutto, accettare tutto. 

Contrariamente alla legislazione francese che contempla il diritto di visita per i nonni, questo diritto in Svizzera non esiste.

Ma è facile immaginare che iniziare una procedura giuridica in certe circostanze non sia una soluzione ideale per migliorare le relazioni nelle famiglie! Senza parlare dell’impatto possibile sul bambino, soggetto e oggetto involontario di questi conflitti giuridici. 

E’ importante sensibilizzare il pubblico e le autorità interessate, di promuovere dei luoghi e dei momenti di dialogo e di discussione tra le generazioni simili a quello che noi viviamo, di proporre delle azioni di prevenzione, di mediazione, di riconciliazione, per il bene del bambino e di trovare dei mezzi a questo scopo. 

Allora, cosa possiamo immaginare per permettere al bambino, quando tutto il resto è crollato, di continuare a mantenere i legami con i suoi nonni, anche se si è litigato, per evitare inutili sofferenze? 

E’ riflettendo insieme sui nostri valori, quelli dei nostri figli e dei nostri nipoti, cercando di conoscere, di scambiare, di dialogare, di accettare e qualche volta di perdonare, partendo dal quotidiano, che sarà possibile stabilire dei legami solidi, di preparare il terreno che ci permetterà di continuare a trasmettere ai nostri nipoti ciò che ci sta a cuore. 

Anche se non offriamo per forza delle soluzioni miracolose, la Scuola dei nonni è un luogo di accompagnamento su questo percorso molto spesso doloroso, un percorso in cui tante volte ci si sente davvero soli. In questi casi la Scuola dei nonni è presente per accompagnare, ascoltare, provare a lenire ferite, accogliere l’eccesso di sofferenza, ma anche per condividere le esperienze e le gioie della “nonnitudine”. 

Non ci sono ricette ne risposte preconfezionate, c’è solo la ricerca del dialogo e la riconciliazione, anche se qualche volta è ben difficile da ottenere. Noi siamo li, all’ascolto. 

Arrivata alla conclusione di questa presentazione, mi augurerei di poter stabilire dei punti basilari per poter tessere i contatti con AvaEva che ci permettano di creare delle collaborazioni e delle felici sinergie per i nostri due movimenti. 

Riflettiamo su come trovare la forma e le modalità possibili. Conto sulle idee che questa giornata del 17 ottobre 2013 potrà far nascere. 

Ora AvaEva cercherà di trovare la strada che sarà giusto seguire nel contesto che rimane ancora da decifrare come un mondo nuovo, quelle delle nonne, senza dimenticare i nonni.

Possiate scoprire un nuovo mondo che ha bisogno di essere rafforzato, sostenuto, in primis per il bene del bambino e per quello della famiglia e della società.

 

Grazie per la vostra attenzione e lunga vita alla nostra nuova sorellina AvaEva.

 

Norah Lambelet Krafft

17 ottobre 2013

 

Tradotto da Margherita Malè Stolz