Convegno 2014: Relazione di Francesca Rigotti

De senectute foeminarum – La vecchiaia delle donne

di Francesca Rigotti | Albergo Pestalozzi, Lugano – 9 ottobre 2014

 

Il titolo del mio intervento, filosofico, ricalca quello del più celebre trattato scritto sull'argomento nell'antichità: il De senectute di Cicerone – opera del primo secolo a.C. – benché esso non riguardi le donne: sull'argomento specifico della vecchiaia delle donne in filosofia non è stato scritto nulla. Nemmeno nei brevi riferimenti alla vecchiaia fatti da Hannah Arendt 68enne in The life of mind. Lì Arendt si rivolge in primo luogo al De senectute di Cicerone, chiedendosi se non scrivere ella stessa una prosecuzione del trattato ciceroniano in chiave moderna, per capire se Cicerone sia nel vero quando afferma che «le cose grandi (res magnae) non sono dovute alla forza, alla velocità o alla prontezza fisica (non viribus aut velocitate aut celeritate corporum) ma sono il prodotto del pensiero e del carattere e del giudizio (consilio, auctoritate, sententia) che nella vecchiaia non vengono a mancare ma si accrescono in grande misura» (Sen. 17). Ma anche Arendt, che quel trattato non scriverà mai, non si interroga sulla vecchiaia delle donne.

L'unico riferimento filosofico sul tema specifico della vecchiaia della donna in filosofia è contenuto nel dialogo platonico Teetéto, nel quale nasce una disciplina che qui molto ci interessa, la maieutica. Socrate vi afferma di essere figlio di una levatrice, Fenarete, dalla quale ha ereditato l'arte: Socrate aiuta gli uomini (àndras) a partorire le idee dalla mente come Fenarete aiutava le donne (gynaìkas) a partorire i bambini dal corpo. Che vuol dire, tradotto in soldoni, che le donne godono della creatività fisica, possono procreare; gli uomini della creatività spirituale, possono creare. Anzi, ma questo viene spiegato in un altro dialogo platonico, il Simposio, gli uomini godono della doppia creatività. Posso procreare secondo il corpo e secondo la mente. Gli uomini infatti, esercitando la fecondità secondo la carne, lasciano dietro di sé figli materiali destinati a perpetuare la specie immortale, ed esercitando la fecondità secondo lo spirito, superiore a quella carnale, danno luogo alle immortali opere dell'ingegno. Le donne procreeranno i singoli, i mortali, e di questo modesto parto si contenteranno: idea destinata ad avere grande successo e a durare fino ad oggi, quando c'è chi sostiene che le donne non sono creative a livello artistico, letterario, musicale, ecc. perché placano la loro ansia grazie alla capacità, esercitata o anche soltanto posseduta come dotazione fisica, di mettere al mondo figli.

Le levatrici, continua a spiegare Socrate, diventano tali dopo la menopausa, quando non sono più in grado di procreare. Nel descrivere l'affinità del mestiere della madre col proprio, Socrate sottolinea anche il parallelo della sterilità in entrambi i casi: quella delle levatrici, dovuta all'età; la sua, mentale, dovuta alla celebre dichiarazione del filosofo: «So di non sapere».

Il modello mentale – di grande successo, ripeto - non dice ma sottintende che gli uomini non possono mettere al mondo figli di carne, è ovvio, come è altrettanto ovvio che le donne non possono partorire figli di carta (nel senso di idee, creazioni mentali di ogni genere). Sottinteso è anche che le idee sono eterne e immortali e valgono ben più dei singoli figli che sono mortali; immortale è anche la specie, dove di nuovo il contributo femminile è ignorato, dato che i fondatori di stirpi, città, tribù, popoli, nazioni ecc. sono uomini.

Ora tutto questo è molto bello, poetico, suggestivo e anche filosofico, ma è falso. Il parallelo della creatività maschile con la procreatività femminile è falso. La mutua esclusione per cui chi partorisce figli non partorisce idee e viceversa è buona soltanto per escludere le donne da uno degli aspetti più interessanti della vita, la creatività mentale (senza voler trascurare la bellezza della procreatività fisica, anzi). Tutta la faccenda romantica, ripresa ai nostri giorni da importanti critici, che vede nella creazione dell'opera d'arte un dio (maschile) al lavoro, è un paragone idiota (come ben lo definisce Sybille Lewitscharoff).

Le donne sono creative e procreative, sono loro che godono della doppia creatività, anzi tripla: mentale, dell'individuo, della specie, che condividono con i maschi della specie perché noi siamo generose e riconosciamo il loro contributo, anche se, per quanto riguarda la specie, in alcuni paesi non possono neanche tenersi il proprio cognome, se maritate, o passarlo ai figli, ma sono costrette ad assumere loro, e a dare al figlio, quello del marito. Le donne sono ampiamente creative a livello mentale, come si può empiricamente constatare quando le condizioni sono date, e lo sono anche in età da nonne, in età da levatrici, all'età di Fenarete, libere come sono, se lo sono, dal lavoro domestico e extradomestico e dalla cura di figli piccoli. Libere di mettere al mondo le proprie idee, e se proprio desiderano usufruire di tecniche di gravidanza artificiali, perché no, anche figli propri.